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Alessandro Manzoni, nel suo celebre romanzo I promessi sposi, racconta che la buona Agnese, dopo essersi rifugiata al cospetto della monaca di Monza insieme a Lucia, tornò nel suo paesello, Pescarenico, per chiedere ancora una volta sostegno e conforto a fra’ Cristoforo. Invano, purtroppo. Le fu presto riferito che la loro ancora di salvezza era stata trasferita in quel di Rimini.
“Così lontano?!” fu un’esclamazione di incredulità ed una domanda nello stesso tempo.
I giovani d’oggi, quando leggono questo passo, quasi sempre ridacchiano incontrollati. Il loro concetto di “lontano” è molto diverso da quello che i loro coetanei avevano in mente qualche secolo fa. Considerano quasi comico il senso di smarrimento di Agnese, che, povera, non sa capacitarsi della distanza che ormai la separa dal frate. Complici i moderni mezzi di trasporto, gli ultimi ritrovati tecnologici in fatto di comunicazione immediata, oramai concepiscono come distante solo qualcosa che si trova dall’altra parte del globo terrestre. E chissà se in un futuro prossimo anche questa misura verrà ridimensionata nella sua scala chilometrica.
In realtà, come per il trascorrere del tempo, i concetti di vicino e lontano possono variare a seconda della nostra percezione. A volte sperimentiamo la distanza anche con persone che vivono sotto il nostro stesso tetto e sappiamo bene quanto è dura incrociare gli sguardi, mentre tutt’attorno sorgono muri invisibili fatti di ostilità ed incomprensioni. Così come, invece, qualcuno che ci ama può manifestarci la sua vicinanza anche se si trova a parecchi chilometri di distacco: bastano un messaggio, una telefonata, per farci capire di essere nei suoi pensieri e per regalarci attimi di tranquilla felicità.
A leggere i commenti sui vari social, si nota come l’apertura del Sinodo sull’Amazzonia abbia generato in molti la medesima domanda incredula che fu di Agnese.
A che serve preoccuparsi di qualcosa di così lontano – si sono chiesti – quando qui vicino, dove viviamo, ci sono altrettante problematiche da risolvere?
La questione potrebbe anche avere un suo senso recondito, ma avrebbe ragion d’essere solo se si potessero fare i conti senza l’Oste. Che è un po’ come fare una festa di compleanno senza il Festeggiato.
Il Sinodo sull’Amazzonia – così come altri che lo hanno preceduto – per quelli che hanno “fede grande quanto un granello di senape” (Lc 17,6) ha come invitato d’onore quel “Vento che soffia dove vuole” (Gv 3,8). Non è solo un semplice dialogo di confronto tra uomini, perché lo Spirito di Dio è l’interlocutore principale. Potremmo noi negargli la partecipazione e sulla base di quale presupposto? Davvero sentiamo il bisogno di vedere dove va, contachilometri alla mano? Davvero vorremmo mettergli il morso, aggiungere poi magari una sella ed un paio di staffe, per decidere in quale direzione a noi più congeniale dovrebbe dirigersi?
La Misericordia non ragiona con metro umano. Per fortuna, oserei dire. Né si lascia influenzare da esso. L’Amore – quello che creato il tutto e quello che ha saputo prendere su di sé carne d’uomo – sa vivere i suoi attimi nell’eternità, ma sa anche tuffarsi nella storia di ogni sua creatura, senza per questo perdere un atomo della propria grandezza ed incommensurabilità.
C’è chi ha letto questo Sinodo come una mancanza d’amore e di attenzione verso le realtà che ci sono quotidianamente più vicine. Si è dimenticato che per la matematica di Dio l’amore è qualcosa che più viene donato, più si moltiplica.

Photo: www.agi.it

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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