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Fosse accaduto 700 anni fa, non avremmo avuto alcun tentennamento a chiamarla tortura. Fosse accaduto1800 anni fa, probabilmente, l’avremmo chiamata barbarie.
Sono passati gli anni, i secoli, i millenni, si sono succeduti popoli e culture. È arrivato il progresso tecnologico e la società perpetuamente interconnessa.
Eppure, anche stavolta, non trovo termini più adatti di quelli per definire quanto avvenuto in Francia.
Il copione è già visto, ormai standardizzati, l’unica cosa a cambiare è che la finestra di Overton si sta allargando sempre più. Dapprima si è iniziato con i malati terminali, e abbiamo detto “ok”. Poi,si è passati ai malati in coma e stato vegetativo permanente, e abbiamo detto “ok”. In seguito, si è passati a malattie funzionali degenerative, e abbiamo detto “ok”. Ora, siamo andati perfino oltre, se possibile.
Sì, perché nonostante i media abbiano fatto, anche stavolta, come in tutte le altre!, il patetico tentativo (patetico perché, proprio perché siamo nella società della connessione perpetua, le notizie, se si vuole, si possono verificare perfino in tempo reale) di spacciarlo per paziente “in coma”, salvo poi, con nonchalanche, affermare (dopo 10 giorni di privazione di acqua e cibo) che “Vincent Lambert è morto”.
L’ultima notizia mi ha fatto sorridere, di un riso amaro, ma inevitabile: si è toccato l’apice dell’ipocrisia. Si considera che un uomo possa resistere al massimo 10 giorni senza bere, ovviamente con un deperimento progressivo, danni agli organi interni, in particolare all’encefalo, fino alla stato confusionale che precede la morte. Pare chiaro dunque, innanzitutto che la durata dell’agonia di Lambert (vicina al massimo considerato per un essere umano privato, contemporaneamente di acqua e cibo) proclama al mondo che Vincent era perfettamente in salute, pur essendo tetraplegico. Inoltre, la “terapia” che l’ha condotto a morte non era assenza di farmaci, bensì di sussistenza e, coscientemente, volta a danneggiare il suo organismo, andando contro al primo, basilare principio che, dai tempi di Ippocrate, dovrebbe muovere le coscienze di ogni medico: “primo: non nuocere”. Non eravamo quindi di fronte ad un malato terminale, bensì stabile; non si trattava affatto di una persona in coma, perché un video, diffuso dai familiari, lo mostrava intento a ricevere il cibo da un cucchiaio (cosa che una persona in coma – o in stato vegetativo – non è in grado di fare). Queste sono alcune, delle molte menzogne, montate ad arte – in modo persino infantile, se non si trattasse di una questione di vitale importanza! – all’unico scopo di procedere, senza intoppi, nella crociata mortifera per sbarazzarsi di tutte le vite indegne di essere vissute perché troppo onerose per il sistema sanitario nazionale, per il nostro quieto vivere, per la nostra coscienza sporca, per la nostra poca fantasia.
Se questa è la civiltà europea, per piacere, innanzitutto, non la esportiamo. E, magari, iniziamo a cercare dove sia finito il senno, perché mi sa che l’abbiamo perduto.
Iniziamo, tornando a rivolgere lo sguardo al Crocifisso, che ci ricorda che Dio ha scelto di essere dalla parte degli sconfitti dalla storia, quelli a cui non assegniamo alcun valore, perché ci pensa Lui a donare valore a tutte quelle persone e situazioni che noi riteniamo perdute, perché «il Figlio dell’Uomo è venuto per cercare ciò che era perduto» (Lc 19,10) .


Fonte immagine: la luce di Maria

 

Fonti per approfondire:
Tempi Web
Renovatio 21
Giuliano Guzzo
Notizie Pro Vita – prof. Carlo Bellieni (membro Pontificia Accademia Pro Vita)
Agensir.it – prof. Adriano Pessina (Filosofia Morale, Università Cattolica)
L’Eglise catholique à Paris
Michel Houellebecq, Le Monde
Geo.fr

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