Alleluja, il Signore è Risorto. Veramente Risorto.
Mentre questo annuncio risuona nelle chiese, piccole e grandi di tutto il mondo, qualcuno si trova faccia a faccia con Lui, martire, dopo aver versato il sangue nel Suo nome.
È la Pasqua, dell’Anno del Signore 2019, nello Sri Lanka.
«Un’esplosione si è verificata nella chiesa di Sant’Antonio nella capitale Colombo. Un’altra si è verificata a Katuwapitiya e un’altra a Katana, nell’ovest del Paese, una cinquantina di chilometri a nord della capitale. E ancora altre chiese sono state colpite a Negombo, appena fuori dalla capitale. Sono stati sicuramente colpiti anche lo Shangri-La Hotel e il Kingsbury Hotel a Colombo»: questo il bilancio che riferisce La Stampa, che ha tutto l’aspetto di un bilancio di guerriglia. Un colpo ben congegnato, appositamente pensato per creare scompiglio, confusione e paura, nella massima festa che riunisce insieme i cristiani cattolici di tutto il mondo.
Nello Sri Lanka, i cattolici sono 1,5 milioni, su una popolazione di 20: una netta minoranza (corrispondente circa al 7%), rispetto alle altre religioni presenti sul territorio (buddhismo, induismo, islam, altre confessioni cristiane).
Il bilancio attuale conta più di 200 vittime e più di 400 feriti.
“Mentre celebriamo la risurrezione del figlio di Dio, i terribili attacchi nello Sri Lanka mostrano ancora una volta come i seguaci di Cristo sono in tutto il mondo le vittime di azioni folli e selvagge. Condanno questa barbara violenza islamista. Preghiamo” è il conciso, ma chiaro commento del cardinal Robert Sarah, tramite Twitter.
Apprendere una notizia simile è sempre doloroso: pensare a fratelli della fede, cristiani come noi, che, per il solo torto di vivere in una parte diversa del mondo, non hanno le stesse possibilità che abbiamo noi di manifestare ed esprimere liberamente la propria fede, ma sono chiamati, se non ad un martirio quotidiano, quanto meno al costante groppo in gola, ogni volta che varcano la soglia di una chiesa, per una celebrazione, specie se si tratta di un’importante solennità, non può non esserlo.
In questo caso, però, la notizia mi è suonata più familiare del solito, perché, dalle mie parti, una piccola comunità di cattolici originari dello Sri Lanka è solita animare con danze liturgiche la s. Messa festiva della parrocchia, in prossimità dell’indipendenza nazionale del Paese (4 febbraio). Tra colori ed armonia di musica e danza, sono sempre riusciti a condividere una spiritualità che non escluda il corpo dall’azione liturgica, ma gli consenta di accompagnarla, in modo appropriato al contesto. Vedere con gli occhi dell’altro ci aiuta sempre ad avere uno sguardo più ampio, che ci consenta di aprire gli orizzonti ad una Chiesa che sia davvero una, santa e cattolica, nella diversità dei riti e delle tradizioni, ma nell’unicità del proprio Capo, il Cristo, Figlio di Dio, incarnatosi per redimere il mondo.
«Sanguis martyrum, semen christianorum (sangue di martiri, seme di cristiani)» scriveva Tertulliano. Era il I secolo.
«Che cosa resterà tra qualche mese della chiesa algerina, delle sue strutture, delle persone che la compongono? Con tutta probabilità resterà poco, molto poco. Ma, nonostante tutto, io credo che la Buona Notizia sia stata seminata, che il grano germogli… lo Spirito è all’opera, lavora in profondità nel cuore degli uomini». Scrisse Fra Paul Favre-Miville (uno dei 19 monaci trappisti, martiri a Tibhirine, in Algeria, nella primavera del 1996, durante la guerra civile in Algeria: dopo essere stati rapiti, di loro furono trovate solo le teste: ancora adesso, non sono noti i dettagli del loro martirio).
Che cos’è cambiato, in tutto questo tempo?
Forse, nulla.
Oggi, come allora, rimaniamo nell’insicurezza, nel pericolo, nella constatazione che, per tanti nostri fratelli (e, forse, presto, anche per noi), andare in chiesa e tornarne vivi non è cosa scontata.
Eppure, non può essere senza significato ciò che accade in giorno di Pasqua. Una violenza così cieca, folle ed assurda non può essere archiviata, senza farci riflettere. Crocefisso il Figlio dell’Uomo, crocefissi i tanti credenti in Lui che, in tante parti del mondo, oggi come allora, non trovate pace. Tanto meno a Pasqua.
Come non sentire risuonare le stesse parole sentite poche ore prima?
«Ho presentato il dorso ai flagellatori,
la guancia a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto confuso,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare deluso.» (Is 50, 6-7)
Siamo seguaci di un Dio Crocifisso, “scandalo per i Giudei e follia per i Gentili” (1Cor 1, 23 ). Non di un condottiero che ha guidato un esercito, massacrando gli oppositori. Chi ha pensato questo di Lui, oggi come allora, ha frainteso, è rimasto abbagliato, confuso. Il Nemico che ha combattuto strenuamente, fino a sconfiggerlo definitivamente, è la morte senza speranza, è la dannazione eterna.
Come Abramo, più di Abramo, Cristo “sperò contro ogni speranza”: seminò la Parola della salvezza, assunse su di sé il peso dei nostri peccati, accettò il peso di una morte amarissima, nella gratuità di un amore da donare, senza aspettarsi un contraccambio (ma sperandolo, per la nostra salvezza, che non può prescindere dalla nostra libera scelta), nella gratuità più pura, nel dono senza riserve di se stesso, fino all’ultima goccia del Suo sangue, confidando pienamente nel disegno del Padre Suo, che puntava alla Resurrezione.
Non è l’odio che può sconfiggere l’odio. La violenza ci conduce in un vortice senza uscita, come un buco nero: la vittoria che può darci, è solo apparente e momentanea Nell’annientamento di sé (kenosys), Dio ci ha fatti sua preda d’amore. Nell’apparenza della sconfitta, s’innalza la Gloria della Croce. In quel corpo martoriato ed inchiodato al legno è già presente (anche se, ai nostri occhi, appare velata) la magnificenza della Resurrezione. Ciò che per l’uomo è impossibile, tale non è per Dio.
La morte non ha più l’ultima parola: questa è la certezza, per ogni cristiano, fondata sulla parola di Cristo, da 2019 anni.
Ecco perché non possiamo più essere sconfitti, neppure con la morte. Cristo ha già vinto, per noi. Ha pagato, in anticipo, il prezzo del riscatto di tutti. Anche di chi non l’ha accolto. La sfida è accogliere l’opportunità, all’interno della nostra libertà, di scegliere Cristo, per essere pienamente uomini, Figli nel Figlio. Oggi come allora.
Torno con lo sguardo della mente al ricordo delle danze dei fratelli cingalesi: la Bellezza salverà il mondo, diceva Dostoevskij. Ma non quella banale, scontata, fondata sull’estetica. La bellezza dell’Amore che non aspetta contraccambio per donare, la bellezza che supera il tempo, la storia, la violenza; la bellezza del volto di Cristo che, per amore, accetta l’indicibile, sopporta l’inenarrabile, nella speranza che il cuore dell’uomo si volga di nuovo ad accogliere l’amore di Dio.
E il seminatore uscì a seminare … (Mt 13.3)
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