fracristoforo
La faccia è una di quelle che il male ha marchiato a fuoco: come le vacche al tempo dell’alpeggio. La giovinezza, al tempo delle sbarre di ferro e cemento, butta-male: il Male l’ha fregato quand’era poco più che un bambino. Negare che il male sia capace di fascinazione è dare da mangiare ad un coccodrillo con la speranza che ci sbrani per ultimi. Per ultimi, ci inghiottirà: «Il male – scriveva H. Hesse – nasce sempre dove l’amore non basta». Furtarello, rapina, saccheggio, sequestro, omicidio. Il male, come gli aggettivi della grammatica, possiede tutte le gradazioni: positivo, comparativo (di maggioranza, minoranza, uguaglianza), superlativo (relativo, assoluto). Il male inizia sempre per gioco: è gioco, diventa sfida, muta in rissa. Scappa il morto, forse: a lui – mi è seduto di fronte dentro lo spazio angusto di una cella, in una patria galera – è scappato. Suona l’allarme, è un campanello: un brusco scampanio nel cuore della notte. D’allora, nulla più come allora: «Occorre dire che è lo scompiglio di tutta la vostra vita? Che è un vero fulmine che si abbatte su di voi? Che è uno sconvolgimento spirituale inimmaginabile al quale non tutti possono assuefarsi e che spesso fa scivolare nella follia? – scrive Aleksandr Solzenicyn nel suo Arcipelago Gulag – L’arresto è un istantaneo, sbalorditivo gettarvi, precipitarvi, trapiantarvi da una condizione in un’altra». È il preludio di una vita con un passaporto di ferro e cemento.
Oggi, dopo quasi vent’anni a-tutta dentro le galere, il volto è segnato: tutta una striscia di ricordi, scariche di tensione a rigar la pelle, fessure da allargare tra i ricordi. «E se uno ti chiedesse: “Perché l’hai fatto?”, cosa gli risponderesti» lo incalzo. Muto, chiude gli occhi, la memoria è un brutto cane rabbioso, di quelli con la schiuma sulla bocca. La bave. Come risposta, nessuna risposta: i silenzi sono lunghi quando s’attende una risposta. Poi, d’un tratto, alza il capo: mi fissa come si punta un avversario per mandarlo all’angolo. Prende la rincorsa, il salto è lunghissimo: «Se avessi letto I promessi sposi, probabilmente non sarei finito in carcere». Detto così, come fosse la risposta che dal giorno dell’arresto stava sulla punta delle labbra, pronta a fare una capriola. Al tempo dell’arresto erano i mitra la sua passione: dopo l’arresto, dopo anni di branda, la scuola ha preso il posto dei mitra. Ci sono giorni in cui la necessità è una virtù: oggi, dopo anni di scavo tra le parole della scuola, frequenta l’università. La risposta, comunque, è d’imbarazzo: «I promessi sposi…!»: che c’entrano in tutta questa tua mattanza?, lo bracco. Qui dentro la sua è «la lunga coda di una vita sconvolta e svuotata». Non senza-memoria. Aggiungeteci la consapevolezza, ecco la risposta: «Avessi letto I promessi sposi, avrei imparato come ha fatto Renzo Tramaglino a stare in piedi in mezzo a tutte quelle mattità» mi dice. Come abbia fatto Renzo, non è dato sapersi. O forse sì: «Come ha fatto, secondo te?» Il sorriso gli si illumina di immenso: «Ha avuto culo (lett.): ha incontrato fra Cristoforo. E si è fidato di lui».
Riavvolgo la memoria. Ricordate fra Cristoforo che cerca di far ragionare don Rodrigo? Esce sconfitto, quella volta: la sconfitta, però, stranamente non lo distrugge. «Il padre Cristoforo – racconta il Manzoni – arrivava nell’attitudine del buon capitano che, perduta senza sua colpa una battaglia importante, afflitto ma non scoraggito, sopra pensiero ma non sbalordito, di corsa e non in fuga, si porta dove il bisogno lo chiede». Sarà mai possibile non essere sconfitti dentro una sconfitta, mi chiedo mentre faccio memoria di quel capolavoro? La risposta è secca, il galeotto la sa. E’ possibile se s’incontra un uomo concreto che torna «afflitto ma non scoraggito»: combatte, non sminuisce le grane tanto da restare prostrato, ma è indomito. Avanza dritto in un mondo che va storto, da vincente. Tanto che viene da chiedersi come faccia quel fraticello ad essere così. «Credi pure – dice fra Cristoforo a Renzo – ch’io sento quello che passa nel tuo cuore». L’ha passato prima lui, adesso è lì, nella burrasca, a suggerirgli una via d’uscita. «Avessi letto I promessi sposi, non sarei qui». Indietro, purtroppo, non si torna.
Lezione inattesa di letteratura dentro l’assurdo di una mattinata di galera.

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