Per primi furono i pastori. Timidi, quasi increduli. S’affacciarono, con il loro seguito belante, all’entrata della grotta, su invito di una corte celeste in festa per un Dio fattosi bimbo. Poi fu la volta dei Magi. Forse non esattamente tre, forse nemmeno re. Rinvigoriti di gioia nel rivedere quella stella che aveva messo vele al loro cuore, che li aveva invitati a fare fagotto e a mettersi in viaggio. E Betlemme, piccola casa-del-pane, fu messa in subbuglio da una carovana giunta con festa e partita di nascosto.
Trascorsero circa dodici anni, il tempo di diventar maggiorenne secondo l’antica legge. Una ricerca affannosa lungo le strade di Gerusalemme, con il cuore in tumulto, mentre poco lontano, nel Tempio, i dottori della Scrittura non s’avvidero d’essere ammaestrati dalla Parola fattasi uomo.
Da quel momento, fino al battesimo sulle rive del Giordano, è un batter di ciglia. Trent’anni di nulla. Nemmeno mezza pagina di vangelo. Ironia della sorte, il Verbo si fece silenzio per la maggior parte della sua vita terrena. Se i vangeli apocrifi ci regalano un Gesù bambino ai limiti del magico – quasi un Harry Potter dell’antichità – quelli canonici coprono quell’arco di tempo con un velo di mutismo e di assoluta normalità che s’adagia placido sulla Sacra Famiglia e quasi la nasconde alla vista del mondo.
L’Eterno si calò nel tempo degli uomini, vivendolo giorno dopo giorno con quieta compostezza. Niente gesti eclatanti, avventure al limite del mirabolante. Ma quotidiano che si nutre di attesa, così simile al seme che senza far rumore aspetta il momento giusto per poter uscire alla luce del sole. Così simile al pane, che nel silenzio e nel buio lievita e cresce, fino a quando non è giunta l’ora di diventare cibo per chi ha fame.
Non inattività, dunque. Ma operosità senza far rumore, preparazione taciturna e attenta, che non smette mai di guardarsi intorno.
Alcuni pensano che a viverlo così fu tempo sprecato.
Niente affatto. Quel triplice tuffo carpiato dal cielo alla terra trasformò in un tesoro prezioso ogni attimo della nostra vita. Nel silenzio di Nazareth la quotidianità del Salvatore rese inestimabile anche quella che viviamo noi. Dal saluto ai primi raggi del sole allo sguardo alzato verso la notte stellata, passando attraverso la fatica del lavoro o per i passi svelti lungo la strada. I semi delle parabole furono piantati lì, in quegli anni. Vivendo i giorni di ogni uomo poté tempo dopo elevare le loro azioni ad unità di misura per il Regno. Dalle stalle alle stelle, il passo era più breve di quanto nessuno avrebbe mai osato sognare.
Svuotata di parole, ma non di significato, quell’esistenza nascosta ci ricorda la bellezza di un amore che lavora in silenzio e quasi di soppiatto, che quando viene scoperto lascia a bocca aperta e con un sorriso sulle labbra.
Un po’ come le caramelle che all’improvviso spuntavano nelle tasche quando da bambini andavamo via dalla casa di nonna. O come quel bigliettino ricolmo d’affetto, affisso al frigorifero con una calamita colorata, trovato alla fine di una estenuante giornata.
Oppure come… no, adesso continuate voi la lista degli esempi.
Seguendo l’esempio della Misericordia per le strade di Nazareth, viviamo anche noi di quell’amore silenzioso che per essere tale non s’affida a gesti eclatanti, ma si riveste di taciturna attenzione.
Buon Anno!