Noa
È ricolma di grazia Maria. A casa di Zaccaria ed Elisabetta è un fiume che si fa beffa degli argini: «In te misericordia, in te pietate, in te magnificienza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate» le rivolge, al pari di una serenata, Dante attraverso Bernardo di Chiaravalle. Tutto sembra trovare un posto a casa di Maria: Elisabetta pare confusa. Maria, allora, rallenta, allenta la morsa: “È Lui che è generoso!” È santa: prima produce la suspence, poi lascia il posto al Dio-di-passaggio: “(Lui) mi ha guardata. Lui ha fatto, spiegato, disperso, rovesciato, innalzato, ricolmato, rimandato, soccorso. Lui si è ricordato della sua santa alleanza”. Il cantico del Magnificat, nella sua seconda parte, sarà il tema della X^ puntata del programma di TV2000 Ave Maria, in onda martedì 18 dicembre, 21.05, dal titolo: «L’anima mia magnifica il Signore». Lui, non io. Una domanda rimane irrisolta. È per Maria: “Dove sta accadendo questo? Diccelo, altrimenti troppi diranno che quando uno è innamorato non capisce più niente”. Eppure ha ragione: qualcosa sta già cambiando, è già cambiata, è in fase di cambiamento.
Quella della giornalista Federica Angeli (nella foto sotto) è la storia di una tapparella che non si è abbassata. Era l’alba del 16 luglio 2013, millesettecento notti fa. Siamo ad Ostia, d’estate: il mare con la sua battigia, sdraio e abbronzatura, caffè e buone notizie. La più buona, però, è una notizia ancora lungi da gustarsi. Nella notte si odono colpi di pistola. Ad Ostia, anche se nessuno allora voleva ammetterlo, il mare era prigioniero. Il grande prigioniero della criminalità: «E’ all’ombra di quel lungomuro che gli appetiti della malavita si sono consumati senza ritegno». Pronunciare Fasciani-Triassi-Spada era professare il credo nella trinità-laica di quel pezzo di mondo. Ogni cosa che avveniva – avvenivano tante cose – era frutto di un incrocio di nomi: “Nel nome dei Fasciani, dei Triassi e degli Spada”. (Amen) si era abituata a pronunciare la gente: per paura, per comodità, perché si era sempre fatto così. Amen, ad Ostia, è una tapparella che si abbassa, uno sguardo che si addormenta: «Le persone, tutte, rientrarono in casa e tirarono giù, in un unico desolante rumore, le tapparelle». Il rumore di quell’amen è sbruuum: l’omertà. A intimare quell’omertà non sono quattrogalline, è un boss, appartiene al clan spietato degli Spada: «Il boss aveva ordinato di rientrare e il quartiere aveva obbedito. Desolante». La tapparella di Federica, invece, regge l’urto di quell’intimidazione: loro puntano la pistola, lei punta la penna. È l’incipit della sua dichiarazione di guerra. La sua tapparella non s’abbassa: è l’unica. I boss le puntano addosso la pistola: lei prende la penna. Inizia a scrivere: è l’incipit della sua dichiarazione di guerra al male. D’allora, lei, con i suoi bambini, vive minacciata di morte. Millesettecento giorni sotto-scorta per ridare alla sua città, dove continua a vivere, la speranza: «rovesciare i potenti dai troni», dando voce agli umili. Che nessuno abbassi mai più la tapparella di casa.
Che nessuno più costruisca muri. Muri che sono tapparelle che impediscono allo sguardo di spaziare, d’incrociare gli altri sguardi. Ne è convinta la cantante israeliana Noa (nella foto sopra), una delle voci più intriganti della musica moderna: «Dite pure che sono una sognatrice, ma non sono la sola. Anche se la terra brucia, questa resta la mia casa» si ostina a cantare con le sue parole. Il suo canto è un’opera di cucitura, di riparazione. È arte di rammendo tra due terre piene di contrasti e di memorie. Quando lei si mette a cantare, però, Palestina ed Israele sembrano quasi avere voglia di convivere assieme: «Non ho risposte, ma cerco di offrire delle prospettive alle persone». Delle ragioni per continuare a sperare in una pace possibile: «Lei ci crede sul serio che avremo la pace? – le chiede un giornalista – Certo, risponde lei. Il problema è quando e a quale costo».
Certe sere, il Magnificat è una canzone intonata sotto la finestra di casa.

(da Maria con te, 15 dicembre 2018)

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