Il primo brano biblico, inserito nel libro di Isaia, richiama un fatto storico, cioè la conquista di Babilonia, da parte di Ciro, re persiano, nel VI secolo: in seguito a tale conquista, è emesso un proclama che consente agli esuli che lo vogliano, di ritornare nelle proprie terre. Sicuramente, non tutti gli ebrei lo faranno perché, al contrario, sappiamo per certo che sorge un’importante scuola di ebraico a Babilonia.
«Io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca.» (Is 45, 4)
Se ci pensiamo bene, questo versetto potrebbe essere scritto per e da ciascuno di noi. Chi può, infatti, dire di conoscere Dio? Dio è, per antonomasia, l’ignoto, nonostante, in Cristo, prenda corpo.
Ognuno di noi ha un nome. Di più: ogni cosa ha un nome. La possibilità di dare un nome a ciò che lo circonda è, nel sentire ebraico, il modo con cui l’uomo esprime la sua signoria sul creato. Se è Dio a chiamarci per nome, dandoci un titolo, significa due cose: la prima è che Dio è il nostro Signore; la seconda è che ci ri-conosce. Ogni nome che pronunciamo rappresenta la possibilità di entrare in relazione con quella cosa. Tanto è vero che, quando non sappiamo cos’abbiamo davanti, spontaneamente, ci viene da chiedere “Cos’è?” e similmente facciamo con le persone, domandando: “Chi è?”, di fronte a qualunque persona nuova.
Quando qualcuno ci ama, il modo che ha di dire il nostro nome è diverso. Sappiamo che il nostro nome è al sicuro in quella bocca. (Luca, 4 anni)
Dall’intuizione di un bambino (in risposta alle domande di alcuni psicologi, che avevano chiesto ad alcuni fanciulli di definire l’amore), viene poi un’altra riflessione. Dio pronuncia il nostro nome con rispetto e con amore. Nel nostro nome è racchiuso tutto il nostro essere, che, agli occhi di Dio è prezioso. Anche noi ci comportiamo allo stesso modo coi nomi degli altri, oppure tendiamo ad affibbiare nomignoli, magari per canzonare od evidenziare i difetti altrui?
Le parole possono ferire, distruggere, ma anche confortare, sollevare, aiutare. Prestiamo attenzione alle parole che escono dalla nostra bocca e proviamo a migliorare, in questo modo, l’ambiente che ci circonda: ricevere un sorriso e una parola gentile possono contribuire a rendere più serena la nostra famiglia o il posto dove lavoriamo.
«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» domanda Giovanni, detto Battista. È un suo diritto saperlo: ne ha bisogno, per sapere quando la propria missione potrà dirsi conclusa. La risposta che dà Cristo è un rimando chiaro per Giovanni, come per chiunque abbia familiarità con le Scritture. Per chi non ce l’abbia, sia chiaro: equivale ad un sì, senz’alcuna ombra di dubbio.
Sanato il dubbio, Gesù si rivolge alle folle, per chiarire il ruolo del Battista, che, forse, qualcuno valutava come un fenomeno spirituale di dubbia origine o provenienza, un “provocatore”, un “estremista della spiritualità”.
«Fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui» sancisce il Cristo, a proposito del divin cugino, elaborando una risposta che sconcerterebbe, ancora oggi, molti fra noi, lasciando nel dubbio di non essere presi sul serio.
«Mamma, ma sono piccolo o sono grande?» è la domanda che attanaglia i bimbi, verso i 5 anni. E, in fondo in fondo, ce la portiamo dietro ogni volta cerchiamo approvazione e ci sentiamo incompresi, quando non ne riceviamo. Forse, la risposta giusta è: ambedue le cose, perché tutto dipende da te.
Sei piccolo, quando rimani chiuso nel tuo egocentrismo e i tuoi occhi non sono in grado di vedere la bellezza che ti circonda. Sei grande, quando riconosci la grandezza altrui e sai gioirne, senza invidia.
Sei piccolo, quando ti illudi di poter controllare ogni cosa. Sei grande, quando impari, con fatica, ad affidare i pesi del tuo cuore a Dio, ricevendo in cambio non essere più pre-occupato, ma solo occupato delle cose che ti competono.
Perché la vera grandezza è comprendere che io e le mie possibilità siamo piccoli, ma la mano che ci contiene è quella di Dio e ad essere grande è il Suo amore, che non permette che cadiamo da quella mano che ci sostiene, nel cammino della vita!
Rif: letture festive ambrosiane, nella III Domenica d’Avvento, Anno C (Is 45,1-8; Sal 125; Rm 9,1-5; Lc 7,18-28)
Fonte immagine: Pixabay
Fonti:
don Raffaello Ciccone, Parole Nuove
Citazione nella seconda immagine: tratta da Ferruccio Parrinello, Ho buttato tutto ciò che potevo per fare più spazio al cuore,Scripsi Edizioni – ® Copyright 2015 – (ISBN 9782826025016)