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Sul campo aperto infuria la battaglia. Fanti e cavalieri si combattono senza esclusione di colpi, mentre il re, pavido, si arrocca per cercare di non soccombere. Per la sua salvezza c’è chi non esita a compiere il sacrificio supremo, cade nella mischia ma il suo sovrano è salvo, ben protetto da qualche parte. La regina interviene a dare man forte, non ci sarà esitazione nemmeno per lei, se con la sua resa la corona avrà modo di salvarsi la vita. Una lotta senza esclusione di colpi fino al momento fatidico in cui il re, messo alle strette, sarà ridotto spalle al muro, senza nessuna via di fuga e senza possibilità di sottrarsi alla cattura.
Scacco matto.
Più che un gioco, gli scacchi sono la riproduzione in miniatura di uno scontro militare, ma rispecchiano anche la concezione antica secondo cui in guerra il re andava difeso a tutti i costi, a scapito dei suoi sottoposti. Caduto lui, caduto anche tutto il popolo. Per questo il sacrificio dei pezzi, dal piccolo pedone alla fiera torre, fino alla regina, è quasi sempre una mossa del tutto necessaria se si vuole risultare vincitori della partita.
“Tutti per uno!”, potrebbero gridare fieramente i pezzi della scacchiera, prendendo in prestito il celebre motto che ci ha regalato Dumas padre ne I Tre Moschettieri. Tutti per il loro re, incuranti del fatto ch’egli non si preoccupi troppo della loro sorte, perché quel che gli sta a cuore è solo aver salva la pelle, non importa quale sia stato il sacrificio necessario.
Da almeno duemila anni abbiamo un re che invece si diverte a far fare le capriole alla logica umana. La rovescia con l’abilità di un prestigiatore che lascia a bocca aperta il suo pubblico.
“Uno per tutti!”, annuncia lui e al diavolo – letteralmente – ogni egoistico buonsenso.
Dal legno della mangiatoia a quello della croce, il suo motto è un abbraccio che colma ogni distanza che separa terra e cielo. Non fugge, il re. Si lascia catturare, legare, condannare senza giustizia. Non domanda nulla, e cosa potrebbe chiedere, d’altronde, colui che vive d’eterno e che non ha bisogno di niente? E’ venuto lui, anzi, per donarsi al mondo. I suoi sudditi non sono pezzi anonimi da sacrificare, ma persone – il tuo nome, il tuo sorriso, la tua voce – da salvare ad ogni costo. Al prezzo più caro: quello della propria vita. Altro che arrocco per difendersi più a lungo possibile, mentre poco lontano infuria la battaglia. Cristo re scende in campo in prima persona. Armato solo di un amore senza confini e di una croce, combatte al nostro posto, ci riacquista e ci riscatta, regalandoci la libertà di figli da sempre amati.

“Questo sarà il diritto del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, […] li costringerà ad arare i suoi campi, mietere le sue messi. […] Prenderà anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. Prenderà pure i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li darà ai suoi ministri. Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi cortigiani e ai suoi ministri. […] Metterà la decima sulle vostre greggi e voi stessi diventerete suoi servi.” (1Samuele 8,11-18)

Prende e chiede, questo re scelto dagli uomini, come se le altrui esistenze gli spettassero di diritto. Come se i suoi sudditi fossero gradini per salire verso il suo trono.
Prende e chiede, Cristo re. Prende su di sé ogni nostro dolore, chiede qual è la misura dell’amore che guida i nostri passi e le nostre azioni. Le esistenze altrui gli spettano di diritto, non per comandarle a piacere ma per amarle: siamo vite da abbracciare con divina misericordia. Da qui all’eternità.

Fonte immagine: Pixabay

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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