“Ahò, cambia il Padre Nostro, ma ce credi?” Il conducente del bus parla all’auricolare, tra una fermata e l’altra, con tono di voce abbastanza concitato da svegliare i sonnacchiosi dei primi posti e distogliere per qualche attimo i ragazzi dallo schermo dello smartphone.
“Ma sai che nun c’avevo mai pensato a che era sta tentazione?” Teologia spiccia delle sette e un quarto del mattino, chissà se l’interlocutore è un altro autista o la moglie, o un amico in vena di fare discorsi del genere mentre tutt’attorno noi sbadigliamo e rimpiangiamo il piumone. “Aspe’… com’era? E non c’indurre in tentazione… ma… prega per noi peccatori? No, me sò confuso, me sa…”
L’esilarante tentativo di esegesi in romanesco s’intreccia al ripescaggio delle formule, un po’ traballante, tra i meandri della memoria.
A prescindere da come la si pensi sulla nuova traduzione – nuova… è in vigore dal 2008 e dopo almeno dieci anni di analisi, non è una decisione presa l’altro ieri – l’effetto della notizia ha potuto laddove una messa in mondovisione non è quasi mai riuscita: produrre un seguito di oranti super attenti, parola dopo parola, alla preghiera che le labbra stavano recitando. Una sorta di miracolo che ha messo i bastoni tra le ruote a quel meccanicismo abitudinario che spesso fa recitare con la voce ma non con la mente. Per alcuni ha inoltre fatto riaprire quei cassettini della memoria che erano stati tenuti chiusi per anni in totale disinteresse.
Possiamo essere concordi o meno con le modifiche in vigore, ma una tale sequela di paternostri oggetto di discussione e di confronti, al di fuori del mondo degli “addetti ai lavori”, è comunque una vittoria da qualsiasi punto di vista la si guardi. Quasi un faro, che d’improvviso viene puntato sul testo evangelico e riesce a richiamare l’attenzione di tutti, anche dei più distratti. Con la speranza che questa attenzione sia una rondine che faccia davvero primavera e non un fuoco di paglia.
Tra uno stracciarsi le vesti ed un inorridire indignati per aver osato mettere mano alle parole di Gesù, è opportuno ricordarsi che già leggere ed ascoltare i Vangeli in italiano è una sorta di interferenza con i veri vocaboli pronunciati da Rabbi di Galilea. A meno che non ci mettiamo d’impegno e recitiamo tutto in aramaico – che tra l’altro non possediamo nemmeno nella sua forma originale, purtroppo – qualsiasi traduzione esistente a questo mondo è già una sorta di cambiamento, perfino quella in latino. Una vera e propria interpretazione del testo, dato che ogni lingua regala un senso specifico ai propri termini, il quale non è quasi mai riproducibile in modo identico nel passaggio da un idioma all’altro.
Ma se “Dio non induce in tentazione” ed il solo pensarlo è già un problema, perché significa che abbiamo una concezione errata del Padre, significa che fino ad ora abbiamo sempre sbagliato a recitare la preghiera a lui dedicata! Magari ci eravamo accostati a questa frase con parecchie perplessità in merito, eppure quello era il testo, quella la recita.
Ebbene, bando agli scandali: Dio non s’è posto il benché minimo problema in merito.
Se d’ora in poi pronunceremo un’altra traduzione delle parole di Gesù non vuol dire che adesso farà in modo che tutti fili liscio e senza intoppi mentre prima era una tragedia. E così, allo stesso modo, può anche essere l’inverso: se questa modalità di pregare non fosse la migliore tra quelle a disposizione, Dio d’improvviso non farà fagotto ed esporrà il cartello “Torno Subito”.
Il Padre non smette di essere tale, se la nostra imperfezione condisce il nostro modo di pregare perché, nonostante l’impegno, non riusciamo a fare di meglio. Il Figlio non sospende il suo amore infinito per noi. E lo Spirito magari si metterà le mani nei capelli – ovviamente è una licenza poetica, non prendiamola alla lettera! – ma soffierà sempre e comunque per farci navigare verso un amore che non conosce confini.
Del resto, come dimenticarci dei madornali strafalcioni che pronunciavano i nostri nonni o bisnonni, che masticavano a malapena l’italiano corrente e che nulla sapevano del latino? Le labbra avranno magari fallito la perfezione del testo, il cuore rivolto al Padre, invece, probabilmente era puntato verso di lui in modo encomiabile.
“Non indurci in tentazione” (traduzione a cui siamo abituati), “Non abbandonarci alla tentazione” (traduzione prossima), “Non metterci alla prova” (testo originale greco)… qualsiasi versione si scelga in questo passo emerge sempre la nostra fragilità che ci spaventa e che ci fa sentire delle formiche in balia della tempesta. La questione allora non è la preghiera in sé, ma qual è la nostra percezione del Padre dinanzi alle difficoltà che la vita ci pone davanti.
Forse un giorno saranno apportati altri cambiamenti, magari altri miglioramenti che ci sembreranno più opportuni, l’importante è che non cambi il nostro affidarci con fiducia al Padre seguendo l’esempio di un Figlio che per lui e per noi ha dato tutto se stesso fino alla morte di croce.