street sweeper

In seguito alla tragedia del crollo del ponte di Genova (ma, in verità, accade ciclicamente, più o meno quando è noto al grande pubblico il lavoro delle forze dell’ordine), si sono moltiplicati i discorsi tra le persone, così come i post sui social che dicevano, press’a poco così, con varie sfumature: “Importanti sono i pompieri, non i calciatori!”.
Superficialmente, può sembrare un discorso giusto e, anzi, una sottolineatura doverosa, specie in un paese dove tutto (o quasi) gira intorno al mondo del pallone e nessuno (o quasi) si interessa di tempo molto più importanti e significativi, nella vita del singolo e della collettività. Tuttavia, ad un simile pensiero, ne soggiace uno assolutamente pericolosissimo.
Altro è, naturalmente il discorso sulla remunerazione. È più che giusta (e comprensibile) l’indignazione di fronte allo stipendio miliardario di un giocatore di pallone, che non salva vite umane, ma, pur tra qualche sacrificio (raro che un atleta possa concedersi abbuffate di Natale o Pasqua), vive tutto sommato una vita lussuosa ed agiata, in ville lussuose, con macchine sportive ed abiti firmati. Tuttavia è bene tenere presente, che il pallone, che vive sulle regole del mercato, difficile potrà essere emendato, quanto meno se pensiamo a tempi brevi.
Pensare, però, che i pompieri siano più importanti dei calciatori afferma un concetto molto più forte e assolutamente sbagliato, cioè quella che ci siano professioni migliori di altre. Questo rischia di condizionare, negativamente, una persona, specie i più giovani, nella scelta del proprio futuro. I ragazzi sognano in grande e nessuno vorrebbe – infatti – fare un lavoro meno importante.
Proprio qui risiede il dramma. Siccome siamo tutti diversi: non esiste qualcosa di meno importante, parliamo invece di ciò che ci fa sentire realizzati (o, meglio: ci realizza, perché non si tratta solo di una sensazione, che può essere illusoria, bensì della realtà dei fatti). Dire che ci sono lavori più importanti di altri equivale ad affermare che altri non lo sono, svilendo la dignità del lavoro realizzato da altri.
Non è giusto: ciascuno è importante, se fa bene il proprio mestiere, come ha testimoniato Enrico, imperatore santo, che aveva pensato di farsi monaco, ma ne fu dissuaso.

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Ci sono lavori più o meno “apparentemente” nobili, ma nessun lavoro è indegno. Ciascuno è chiamato a fare ciò che gli riesce a meglio, vivendo appieno il talento che lo caratterizza. Messi è bravo a giocare a pallone, Bolt è ottimo a correre distanze brevi, Zanardi è un atleta straordinario, Cracco è un ottimo cuoco. Non è detto che se qualcuno di questi si trovasse a fare il soccorritore, o il cardiochirurgo, sarebbe in grado di raggiungere quell’eccellenza che, invece, raggiunge nel proprio ambito.
Del resto, anche Martin Luther King, in un famoso discorso pronunciato circa un anno prima della propria morte, proclamò:

«Se vi toccasse di fare gli spazzini, dovreste andare e spazzare le strade nello stesso modo in cui Michelangelo dipingeva le sue figure; dovreste spazzare le strade come Handel e Beethoven componevano la loro musica. Dovreste spazzarle nello stesso modo in cui Shakespeare scriveva le sue poesie. Dovreste insomma spazzarle talmente bene da far fermare tutti gli abitanti del cielo e della terra per dire: “Qui ha vissuto un grande spazzino che ha svolto bene il suo compito”»
(Discorso di Martin Luther King nella New Covenant Baptist Church, 9/4/1967. )

Ogni uomo, insomma, qualunque sia il proprio lavoro, è chiamato a farlo “a regola d’arte”, dimostrandosi, nel proprio campo, come un novello Michelangelo o Shakespeare. Ogni uomo esprime, nel proprio lavoro, la propria essenza e la propria chiamata ad essere pienamente uomini. Di più. Siccome ogni uomo è assolutamente unico, chi lavora male, è inadempiente e, non solo svilisce se stesso, ma impoverisce l’umanità intera (privandola di quell’apporto che solo lui avrebbe potuto fornire) ed abdica a quella testimonianza dell’amore di Dio che è la più luminosa di tutte, cioè quella che si attua attraverso la nostra vita.

Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: «Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.
(1Cor 12, 12-27)

Certo, San Paolo, con la metafora del corpo, si riferisce, nello specifico, alla Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, ma, a mio avviso, rende splendidamente questa realtà, anche intesa in modo più ampio. Noi tendiamo a riservare grande onore solo ad alcune parti del corpo, salvo poi rivalutare certi dettagli, quando picchiamo il mignolino del piede contro uno spigolo. Battute a parte, spero che l’esempio renda l’idea.
Tendiamo spesso a privilegiare alcuni lavori rispetto ad altri (e, spesso, la società, lo afferma, implicitamente, tramite gli stipendi accordati), ma ogni ruolo è importante. Anche il più umile, persino quello che apparentemente ci pare del tutto superfluo, ci accorgiamo della sua imprescindibilità quando esso manca alla propria funzione, come accade, ad esempio, con gli scioperi oppure i malfunzionamenti. Quando l’azienda addetta alla raccolta rifiuti non passa sotto casa nostra, subito ci accorgiamo dell’utilità di chi, di mestiere, raccoglie la spazzatura che produciamo. Nessuno, probabilmente, lo culla come il sogno della vita, eppure nessuno sogna neppure di vivere sommerso dai rifiuti.
La realtà è che ognuno ha il proprio posto nel mondo e, una volta, trovato, è chiamato ad onorarlo, fino alla fine, sviluppando appieno il proprio talento, come una pilota che sviluppa il proprio prototipo.
Sarebbe grottesco, infatti, pensare un mondo di tutti-uguali (come ipotizza, per assurdo, San Paolo)! Il sogno di Dio sull’uomo è che questi, docile al suo Spirito, realizzando se stesso, renda santa la propria esistenza, sviluppando i talenti che Egli gli ha donato!

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Fonte: Gli scritti.it

Fonte Immagine: Reflectyourpower.com

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