Accadde quello che tutti, a Nazareth, stavano attendendo col naso all’insù: il Messia s’era fatto evidente. Il Bambino-prodigio, nato tra le strade del paese, un giorno rincasa, dopo essersi fatto grande altrove. Capitò, esattamente in quella città che fu per lui catacomba di silenzio trentennale, che i paesani di Nazareth non lo accettassero. Roba da cappottarsi dalle risate: l’attendevano tutti, Lui s’era fatto uno di loro, non fu accettato nella piazza del suo paesello natìo: «Da dove gli vengono queste cose? Non è costui il falegname, il figlio di Maria?» Si erano infastiditi per quelle-cose che andava dicendo: che la persona viene prima della legge, che il sabato è stato fatto per l’uomo e non viceversa, che Iddio non gode affatto della morte del reo ma è tutto tronfio del suo pentimento. Cioè, in paese, aveva sparso voce che a Dio non gli si poteva più chiedere di professare ad alta voce le formule tristi del loro vecchio catechismo sbiadito. Mica capirono, loro, il nuovo annuncio che si stava spargendo per le strade di Palestina: frequentare il Mistero non è riempirsi di formule – aver studiato, essere buoni, bravi – ma solo il fatto di non essere all’altezza, saperlo, starci lo stesso. Fu per questo che nel suo paese tornò con la ciurma discepola al seguito: i primi che Lo seguirono seppero riconoscere la sua eccezionalità come fosse la cosa più semplice e naturale di questo mondo. I paesani, invece, pagarono dazio del fatto d’essere cresciuti alla luce degli stessi lampioni, battendo le stesse strade, annusando la medesima aria della sera. Non seppero riconoscere, non vollero affatto farlo, l’annunciazione del Cielo all’umanità: «La più grande eresia – scriveva Charles Péguy in Véronique – è negare quell’incontro meraviglioso, unico, del temporale nell’eterno, e reciprocamente, dell’eterno nel temporale, del divino nell’umano e mutuamente dell’umano nel divino». I discepoli, a quell’incontro, il Cielo li colse impreparati: un miscuglio di ignoranza, freschezza e stupore. I paesani erano in uno stato di sospetto: troppa esperienza invecchia lo stupore. Smarrisce Dio.
Tornò a Nazareth, forse, per un gesto di riconoscenza: come di chi, diventato famoso in terre foreste, torna alle casa natìa per renderle omaggio, per debito di riconoscenza. Per spartire prima di tutto con loro che, d’ora innanzi, se vorranno potranno vedere la Bellezza che cammina per quelle loro stesse strade. E’ certo che la grande promessa sarà nell’aldilà, il Paradiso: è pur certo – pare tornato a dire esattamente questo, Cristo – che nell’aldiqua, per chi Gli darà credito, sarà possibile fare un’esperienza di paradiso-anticipato, di stupore: precario, ma pur sempre stupore reale. Nella trama semplice e disarmante del quotidiano: «Tutto per me si è svolto nella più assoluta normalità – continua Péguy in Véronique – e solo le cose che accadevano, mentre accadevano, suscitavano stupore, tanto era Dio a operale facendo di esse la trama di una storia che mi accadeva, e mi accade, davanti agli occhi». Una grande esistenza nascerà sempre dall’incontro con una grande occasione: questo volle donare ai suoi paesani il Cristo-profeta. Questo, i suoi paesani, non l’accettarono: Gli fecero capire che per loro, cervelli omologati dall’infatuazione per una legge morta, era meglio continuare a vivere nell’attesa piuttosto che imbattersi nell’incontro con quella Presenza ardente.
Loro si stupirono al punto tale da indignarsi. Anche Cristo si stupì, della loro incredulità. I primi, per ripicca verso di Lui, fecero muro contro, soffiarono vento-contrario. Lui, non compiendo nessun miracolo, lasciò però socchiusa la porta per loro: «E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì». Il Respinto non li respinse, a rifiuto non oppose rifiuto: seppe sostare nell’attesa di un loro possibile ritorno. Era consapevole del fatto suo:«Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti, in casa sua». Prima di partire, aveva calcolato di fallire: per questo restò in piedi.
Per credere basta poco: c’è solo da guardare. Da lasciarsi guardare.
(da Il Sussidiario, 7 luglio 2018)
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando (Marco 6,1-6)