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Chiunque abbia dimestichezza con i bambini e le feste di compleanno, saprà oltre ogni ragionevole dubbio che il momento fatidico, quello che quasi sempre genera recriminazioni, proteste, pianti accusatori, è quello del taglio della torta. Gli amichetti, con cui s’è giocato fino a qualche attimo prima, all’improvviso diventano commensali di troppo, nemici da occhieggiare per controllare che la loro fetta di dolce non sia più grande della propria. Se poi ci sono le stelline di glassa, adulti, non commettete il fatidico errore di metterle un po’ a caso qua e là! Verranno contate pure quelle – e chi è poco portato in matematica di colpo comprende il meccanismo delle equivalenze – ogni zuccherino in meno sulla propria fetta sarà una ferita che coinvolge non tanto la golosità, ma proprio l’autostima, poiché la quantità di dolce ricevuto viene paragonata alla considerazione data da parte dell’adulto.
Ci sono momenti, più di quelli che pensiamo, in cui la Misericordia di Dio viene trattata alla stregua di una torta fatta a fette. Ci si guarda intorno di sottecchi, cercando di individuare chi ha ricevuto parti più grandi e ha tolto così qualcosa alla nostra agognata porzione.
Pur non scendendo in questo tipo di paragone culinario, Gesù aveva fatto i medesimi esempi, mediante le parabole dei lavoratori della vigna e del padre misericordioso. I primi braccianti ed il fratello tornato dai campi avevano appreso con rabbia e disappunto che altri avessero ricevuto la stessa sorte di benevolenza – la paga di una moneta a fine giornata – o addirittura qualcosa in più, come i grandi festeggiamenti per un sospirato ritorno.
È un dramma tutto umano, questo, che non affonda le radici solo nella matematica. Siamo infatti naturalmente portati a pensare che anche i sentimenti, se divisi, arrivino a destinazione in minor parte, come un fiume che si perde in più rivoli d’acqua. Seppur smentiti dalla quotidianità – pensiamo all’amore di un genitore per i figli, per esempio – è un ragionamento che talvolta è più forte di noi. Entra in scena l’umana, umanissima, paura di vedersi messi da parte, trattati come qualcosa di meno se altre persone ricevono la medesima quantità di amore che è stato riversato su di noi. Non è un retaggio solo dei più piccoli, è fame d’amore, che però a volte si esprime in modo decisamente poco benevolo, come la rabbia, l’invidia, la gelosia verso il nostro prossimo, perché ci è stata tolta l’esclusiva.
Tutttavia… è di Dio che si sta parlando. Se la fonte principale del nostro interesse fosse davvero il pasticcere che ci taglia la torta, allora saremmo ben giustificati nell’essere un po’ preoccupati. Ma quando in causa c’è il Padre del creato, per il quale “tutti i capelli del nostro capo sono contati” (Luca, 12,7), non c’è assolutamente nulla di cui temere.

Ci rendessimo conto di quanto è infinito – infinito! – l’amore con cui siamo amati, avremmo come unico desiderio quello di farlo sperimentare a tutti coloro che incontriamo nel nostro cammino, non importa il colore della loro pelle o la loro lingua o cultura.

Invece ci si ritrova, molto spesso, in compagnia di operai stradali, che mettono dossi, dissuasori e quant’altro per rallentare, o addirittura ostacolare, il percorso di chi già procede a fatica lungo la strada della Misericordia. Ci si comporta come se si fosse gli unici degni di raggiungere la mèta, gelosi di essa solo perché abbiamo avuto il dono gratuito di conoscerla senza problemi, quando invece la Misericordia stessa non ha esitato a prendere carne per l’umanità intera, nessuno escluso, anzi dedicando maggior attenzione proprio a chi arranca sui suoi passi, agli ultimi, a coloro che non sembrano esserne degni.
Esattamente come nella parabola della pecorella smarrita. (Luca 15,1-7)
Il gregge comprende di essere davvero al sicuro, davvero protetto e amato, nel momento in cui il pastore si allontana e va a cercare quella che ha disubbidito e si è allontanata. L’esperienza della solerzia del pastore fa sentire tutti al sicuro, perché ogni pecorella – ogni persona – può sperimentare situazioni di smarrimento o di allontanamento vero e proprio, e può avere la certezza ed il sollievo che, quando verrà il momento, sarà anch’essa cercata e curata.
L’atteggiamento di Misericordia verso ogni creatura lontana è il suggello posto a garanzia di un amore infinito riservato anche per noi.

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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