freccia francigena
Quando penso a lui, penso ad una trasfusione di sangue. Dico “lui” e intendo sant’Antonio di Padova. Quest’uomo – dal doppio passaporto, quello portoghese e quello italoveneto – arde così forte nel cuore di Padova che se qualcuno, spinto dal fastidio della sua nascita “foresta”, volesse separarlo dalla storia della città somiglierebbe ad uno che, dopo aver ricevuto sangue da un donatore, chiedesse che nelle vene lo tenessero distinto dal suo. Un medico, capace del fatto suo, riderebbe di quest’idiozia: entrati in contatto, i due sangui si fondono assieme. È mescolandosi che aiutano la vita a rialzarsi. Lo è anche di Antonio, di Padova: lui, nella città ospitale, ha portato il dono della parola divampante. Lei, la nobildonna Padova, l’ha reso così santo-subito che in tutto il mondo s’è reso persino inutile il nome: “Il Santo”. Per antonomasia, punto e a capo.
I padovani, che è tutta gente col fiuto della cultura sotto il naso, quell’incontro mai l’hanno scordato: in tutto il mondo dici Padova e rispondono “Il Santo”. Sarà più facile separare la luce dal sole piuttosto che Antonio da Padova. Che, ironia della divinità, nella città sufficientemente allergica alle presenze straniere, è uno straniero – “foresto” come si ama dire quassù – quello per il quale ancor oggi si fanno pazzie. L’ultima, in ordine di tempo, il popolo pellegrino l’ha fatta stanotte: con devozione ha ripercorso l’ultimo tratto compiuto da Antonio prima di andare a morire in città. Da Camposampiero (PD), custodia di memoria, a Padova, luogo del culto massimo: a piedi, in preghiera, fianco a fianco. Di notte, perché è di notte che sorge l’alba. E i santi, quelli come Antonio il Foresto, hanno fatto proprio questo: hanno aiutato l’alba a sorgere nelle notti buie della storia. E’ la maniera migliore per dire ad una persona “Mi manchi” quella di farsi trovare sottocasa. E’ anche la maniera semplice, quella di questo pellegrinaggio che si ripete ogni anno, di dire ad Antonio: “Grazie, perché mancandoci sentiamo che siamo cotti di te. Innamorati come degli adolescenti tutt’intenti alle prime manovre d’amore”. Pellegrini – i numeri stanotte si contavano con le migliaia – per un’intera notte: «Noi siamo veramente passeggeri e pellegrini sulla terra, veramente caduchi, esseri di un giorno: la mattina in fiore, la sera appassiti» scriveva il Leopardi. Di noi scriveva: che la santità l’abbiamo sempre immaginata come un qualcosa di irraggiungibile, di eroico, di stranamente disumano. Un qualcosa che appartiene a gente nata-santa, portata per quelle scalate, mezza staccata dal mondo. Fino a quando arriva uno come Antonio che, alla nobildonna, mostra la semplicità di una storia santa: «Fidatevi, siete veneti e non state mai con le mani in mano. Ma la santità è proprio questo: darsi da fare, come voi. Con un’aggiunta: invece che continuare a dire “Mi sono fatto da me!”, lasciate che anche Dio faccia qualcosa per voi. Tutto qui». Il santo è un promemoria: di chi siamo oggi, di chi potremmo diventare domani. Se solo accettassimo una trasfusione di sangue-di-profeta.
Stanotte, a pellegrinare sull’argine che accarezza tutto il graticolato romano, c’erano vecchi banditi di galera e nobildonne della borghesia, gente con canizie nella testa e bambini ancora nel passeggino. Ingegneri, spazzacamini, agenti di commercio e architetti. Disoccupati in cerca di lavoro, sguardi in cerca d’aiuto, il popolo variopinto della devozione popolare. Una sorta di agguato a chi dice che certe cose sono da sempliciotti. Se lo sono, ma non lo sono, ricordarsi di avere un’anima è roba da sempliciotti, quelli pubblicizzati dal Vangelo, però: «Il cuore dell’uomo di oggi è ancora pellegrino dell’eterno» si ostinava a rammentare don Primo Mazzolari. Era bello, immischiati stanotte in quell’incrocio di accenti e di occhi, riconoscere la «classe media della santità» celebrata dal Papa: pensare che il mio vicino, quello che mi ha offerto un mezzo panino, domani potrebbe diventare santo, è quasi da cappottarsi dalle risate. Ma, a guardare la storia della santità, alle risate degli uomini Dio ha risposto rendendo possibile l’impossibile.

(da Il Mattino di Padova, 27 maggio 2018)

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