Belli e impossibili. Fragilissimi cristalli, germogli taciturni, delicatissimi brusii di primavere. Simpatici, assassini, mascalzoni. Intelligenti, idioti, sfrontati. Nottambuli, religiosi, menefreghisti. Enigmatici, indecifrabili, intriganti. D’afferrare a pugni, da inginocchiarsi di fronte, da carezzare per addomesticare. Il Salterio – divina poesia su spazi variegati d’esistenza – racconta di loro afferrandosi all’arte bellica: "Come frecce in mano a un eroe sono i figli della giovinezza" (Sal 127,3). Che, però, sono sempre visti come il futuro: nelle fumose sacrestie delle chiese, nelle ambigue stanze della politica, nei freddi sondaggi della società. "Il futuro è loro. Sono la nostra speranza. Apriamo loro la strada. Investiamo su di loro". Maledetta pigrizia senile, seppur magari capace. Balordo trucco per mantenere tra il mobilio dell’arredamento vecchiaie prive d’immaginazione, teste addestrate al sistema, pensieri invalidi nelle danze. Il futuro è loro: ma intanto dalla parrocchia al Cupolone l’accesso è loro vietato. Dal municipio a Montecitorio è consentito solo in tempo di elezioni. Con relativa carota: un giorno diventeranno adulti. Strane scuse addita l’uomo quand’avverte una deficienza nell’arte del cuore. "Mi avete fregato di nuovo" scrissero gli analfabeti-illuminati della piana di Barbiana, in quella scuola resa celebre da un’innamorata arte d’educare il cuore. "Ma io sarò maestro e farò scuola meglio di voi".
Regaliamo loro la certezza d’essere il futuro: come al coccodrillo si porge il cibo speranzosi d’essere ingoiati per ultimi. Cretinerie scandite da un’errata percezione della giovinezza. Quasi che loro valessero solo diventati adulti. Smascherando l’intento meschino e funambolo di vedere la giovinezza come un passaggio, una deviazione obbligatoria, un parcheggio improvvisato all’argine e al margine dell’esistenza. Per paura d’essere scollati da poltrone che odorano di vecchiaia dis-innamorata. La Scrittura – pupilla infossata tra le increspature del cuore – li accomuna alle frecce degli eroi. Da far scoccare per centrare. L’uomo adulto – sguardo appisolatosi tristemente su se stesso – regala loro il contentino del futuro per tenerli buoni. Per non farli scattare e rischiare di doversi rimettere in moto. Perché possa sopravvivere la "pastorale del mantenimento" che accomuna tanto i ministri del cielo come quelli della terra.

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Sono svogliati, precari, bamboccioni. Inesperti. Detto da persone fotocopiate è complimento assai lusinghiero e ad honorem: in filigrana la diffidenza verso i prodotti confezionati. Verso bocche partorenti parole morte, spente, appassite. Incapaci d’accendere la curiosità. Giovinezza non è "situazione provvisoria" in attesa del futuro. Ma è possibilità di vita adesso. E’ voglia di emergere. D’aggiustare la vita con parole giovani, immaginative, creative. E’ voler ritrovare profumi nascosti dagli adulti: il profumo del fieno e della polenta, della terra arata e dell’erba falciata, dei ciclamini e delle castagne. Della montagna, dell’acqua, della festa. Dell’incenso, dell’uva, del grano. Dell’amore, della poesia, dell’emozione.
L’adulto-bambino A. de Saint-Exupèry annotò: "Gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano costretti a spiegar loro le cose". Ma la menzogna smaschera se stessa. Fino a farci pervenire come regalo un futuro sempre più sbilanciato avanti nel tempo. Con una richiesta compresa nella promozione-imposizione: "state buoni, ragazzi. Altrimenti ci sfugge il controllo".
Spiacenti, ma qui disubbidire è virtù. Perché non riusciamo a far finta di credere che la fine di una civiltà sia d’addebitare alle immigrazioni, al terrorismo o allo scioglimento dei ghiacci in Antardide. Il tramonto di una civiltà e di una chiesa s’affossa nello spreco incondizionato, studiato e codardo delle proprie generazioni giovani.

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