Come un dittico pitturato dalle mani di un fine intenditore. È un viaggio-a-due quello che si sta dipanando sotto i nostri occhi in questa stagione ecclesiale. Da una parte Papa Francesco che, con un fiuto profetico sopraffine, ha preso ago e filo e si è messo a ricucire una memoria preziosa: Bozzolo, Barbiana, Alessano. Fra poco Nomadelfia, Loppiano. Luoghi di memoria che sono stati la Betlemme di don Mazzolari, don Milani, don Tonino Bello, don Saltini, Chiara Lubich: tutta gente che ha acciuffato lo straordinario, illuminando il loro ordinario. Soffrendo non solo per amore della Chiesa, ma anche a causa della Chiesa stessa: sono i cani fedeli al padrone quelli che abbaiano nel pericolo. Francesco, senza grossi giri di parole, si è fatto pellegrino sulle loro tombe: più che un chiedere scusa – i cagnacci di Dio sanno bene che la verità ama i tempi lunghi per rivelarsi – è un grazie per aver saputo far gustare l’inedito di Dio, prima che divenisse lampante. Dall’altra parte loro, i giovani: sono mesi che, spronati dall’audacia del Pontefice e di qualche vescovo, si ritrovano a far-filò attorno alla loro immagine di Chiesa. È la stessa generazione che, sovente, ama Cristo scansando la Chiesa: “Cristo si, Chiesa no!” Qualcuno di loro, invece, sa cogliere che, senza la Chiesa – pur detestabile, peccatrice, infedele – mancherebbe la strada che porta al Cristo. E’ l’occasione, per tanti di loro, di professare il loro credo rivoluzionario: “Cristo si, con la sua Chiesa”. Rivoluzionare, certi giorni, è amare le radici, non tranciarle.
Viaggiano, dunque, appaiati: lui ad additare la gente audace che «lascia un segno nel mondo» – come ha scritto nell’esortazione Gaudete et Exultate -, loro a declinare le grandi domande dell’umano dentro le trame della loro Chiesa: chi sono, da dove vengo, verso dove sto andando. Essere giovani è avere il sacro fuoco della passione in petto: la passione, però, non è suicida. Perché inquieta, ha il fiuto della sopravvivenza. Possiede quella creatività di chi vuol cambiare la storia non per disprezzare il passato ma perché desidera che quel patrimonio lo possano apprezzare i nascituri, non solo gli antenati. Riflettono sulla Chiesa e l’immaginano come una stanza della casa paterna. E nelle case c’è sempre un po’ di disordine: «Le sedie talvolta mancano di un piede – annota G. Bernanos – i tavoli sono macchiati d’inchiostro, le scatole di marmellata si svuotano da sole nelle dispense». Son cose che sappiamo, ne abbiamo tutti esperienza. La cosa bella è che tantissimi giovani sono partiti da qui per riflettere, per riflettersi nella Chiesa. Ritrovandosi a casa loro, a piccoli gruppetti, consapevoli all’osso che le cose belle sono anche le più fragili, con struttura gracile, il fisico mingherlino. Il Papa, nel frattempo, li incoraggia da bordo campo, da terre di periferia. È lì che i piccoli particolari fanno la differenza, i “segni del potere” trovano il loro habitat naturale per mutarsi nel “potere dei segni” come diceva don Tonino Bello. Nulla di eccezionale, se non la voglia di esserci, quando Cristo passa. Basta e avanza.
Storie quasi-sante. A ricordarci che la vocazione – si celebra oggi la Giornata delle Vocazioni dal titolo “Dammi un cuore che ascolta” – non è solo andare con la barba lunga in Amazzonia, accettare la sfida di un sacerdozio, crogiolarsi nel ventre di una clausura. La prima vocazione universale è quella alla santità, alla felicità tutta intera: quella che tutti i giorni s’affaccia sotto i nostri occhi facendo il bucato, lavorando la materia, vestiti da netturbini, da spazzacamini. Pare insulto al galateo cristiano: più che insulto è scoprire che certe manovre sembrano così difficili perché sono quelle più alla nostra portata. Quando penso ai santi, penso che loro avrebbero tanti motivi per lamentarsi della Chiesa, invece non lo fanno: la amano perché non è mai quella dei loro sogni. Inizio a sospettare che quello che io vedo di invisibile nella Chiesa visibile sia proporzionale ai miei meriti: non trovo altri motivi per giustificare l’amore dei santi per la Chiesa. Ammetto che in una Chiesa perfetta oggi sarei a disagio: un accattone davanti al Ritz di Parigi.
(da Il Mattino di Padova, 22 aprile 2018)