Anche stavolta, la prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, ci racconta le vicissitudini dei primi cristiani (che – ancora – non si definivano tali) e, in particolare, la miracolosa “evasione” di Paolo e Sila dal carcere. Al di là del fatto in sé, colpisce soprattutto il finale. Dopo essere stata rassicurata da Paolo che non sarebbero fuggiti, è essa stessa a consentirne la fuga, domandando come ottenere salvezza. La consecuzione delle azioni è significativa. I cristiani proclamano la Parola, l’uomo ne lava le piaghe, riceve il battesimo, con i propri familiari, quindi, li fa salire in casa e prepara la tavola. L’ospitalità e la convivialità è parte integrante del Vangelo. La liturgia celebrata porta veramente frutto quando è vissuta nella concretezza del quotidiano, quando si rischia in prima persona la possibilità dell’Amore che chiede di essere spezzato, per essere dato al prossimo.
Così, quando la guardia apre le porte alla fede, «fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio» (At 16,34). Riprendendo un’immagine cara a don Tonino Bello, il cristiano è infatti chiamato ad essere un “cireneo della gioia”, in grado, cioè, di parlare della fede, attraverso i frutti che essa produce, di cui la gioia è – probabilmente – il migliore degli sponsor.
“La gioia semplice, genuina, è divenuta più rara. La gioia è oggi in certo qual modo sempre più carica di ipoteche morali e ideologiche. […] Il mondo non diventa migliore se privato della gioia, il mondo ha bisogno di persone che scoprono il bene, che sono capaci di provare gioia per esso e che in questo modo ricevono anche lo stimolo e il coraggio di fare il bene. […] Abbiamo bisogno di quella fiducia originaria che, ultimamente, solo la fede può dare. Che, alla fine, il mondo è buono, che Dio c’è ed è buono. Da qui deriva anche il coraggio della gioia, che diventa a sua volta impegno perché anche gli altri possano gioire e ricevere il lieto annuncio”.
(Benedetto XVI, Luce del mondo)
Il Vangelo di oggi ci regala uno dei passi più teologici, tra tutti i discorsi di Gesù. Il tutto scaturisce nella semplicità, com’è inevitabile, in una compagine di persone semplici e alla mano, com’è la combriccola al seguito di Gesù. Il primo a prendere la parola è Tommaso, a testimonianza di come non sia l’icona dell’ateismo, ma, piuttosto, un apostolo in ricerca, che vuole accompagnare la sua fede con la forza della ragione. Via, verità, vita. Tutto è Gesù per un cristiano (“Mio Dio, mio tutto” diceva san Francesco d’Assisi). A fronte di questo, ogni turbamento dovrebbe cessare, perché anche – se non, soprattutto – ciò che non riusciamo a comprendere è nelle mani più affidabili che ci siano. Quelle di Dio.
È quindi la volta di Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14, 8), a cui segue la risposta di Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14, 9-11). Non è possibile comprendere il ministero di Cristo, se non è inserito in un contesto, così come non si può estrapolare una citazione, pur bella dal contesto in cui è inserita, senza rovinarla. Cristo è inserito in una relazione con il Padre, immerso nell’amore. Una relazione dinamica, com’è proprio dell’Amore.
La tri-unità è lo spazio d’amore che non idolatra l’uno e non si disperde nel molteplice. L’amore è quella forza che supera la contraddizione e rende possibile il paradosso: Dio è unico ma non solitario; Dio è trino ma non triplice. Il suo essere amore tutela la diversità nell’unità e fa respirare l’unità nello spazio di dono della relazione d’amore. (R. Cheaib, Un Dio umano)
Per questo, qualcuno paragona la Trinità ad una danza dell’amore, in cui ognuno lascia il proprio posto, per prendere quello lasciato da un altro e realizzare, così, un’armonia di movimenti, sulla base di una melodia che li guida.
Se questo (come descritto da Gesù in questi e in altri brevi passi desunti dal Vangelo), è il nostro Dio, che cosa ne ricaviamo per il nostro quotidiano, se non il richiamo ad essere specchio della Trinità, nella nostra umanità, in un movimento d’amore che valorizzi i doni di ciascuno e faccia luce sulla Bellezza di cui siamo avvolti, ma di cui, spesso, nemmeno ci accorgiamo.
Rif: letture festive della III Domenica di Pasqua, secondo il Rito Ambrosiano
Fonte immagine: La danza, Henri Matisse, Hermitage
Fonti:
- Benedetto XVI, Peter Seewald. Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa, i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald (Oscar Mondadori, 2012), citato in: Aleteia
- Robert Cheaib. Un Dio Umano. Primi passi nella fede cristiana (San Paolo, 2013)