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È difficile comprendere la prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, astraendola dal contesto in cui essa trae origine, vale a dire l’episodio narrato al capitolo precedente, in cui Pietro guarisce un mendicante storpio. Colpisce quale possa essere la forza che lo Spirito Santo riesce a trasmettere a chi lo riceve. Lo avevamo lasciato in compagnia di un gallo rivelatore: proprio lui che si diceva «pronto a morire per Lui», messo alle strette da una serva, ha lasciato che, per ben tre volte, il rinnegamento affiorasse alle sue labbra. Lo ritroviamo ora così rinvigorito nella fede, da essere pronto a testimoniarla davanti ai capi del popolo e agli anziani. E non in modo implicito, bensì esplicitando che quanto compiva era in continuità, d’opera e di cuore con quel “Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti”(At 4,10). Quello che stesso, che, nelle ore concitate della Pasqua, non aveva saputo difendere, proteggere. Possiamo immaginare il dispiacere e l’imbarazzo che devono aver albergato in quel cuore pescatore. Vorremmo sempre essere in grado di porci in mezzo, tra loro e qualunque male. Persino, forse, soprattutto, quello che viene da noi stessi. Vorremmo essere in grado di offrire loro la parte migliore di noi. Gesù dimostra invece di scoprire la parte migliore di noi, prima ancora che essa si esprima.
Cefa è diventato “la roccia” solo dopo la Pasqua: prima, invece, della roccia, aveva solo la testardaggine e il tentativo di puntare in alto, che, però, non era corroborato da una volontà adeguata. Che è possibile ottenere non tanto da uno sforzo personale, bensì, piuttosto, dalla fatica più grande: accogliere, come un dono, la necessità, che Dio ci renda a propria immagine, affinché possiamo diventare in grado di realizzare il Suo sogno sulla nostra vita.
Nel salmo, riportato in seguito nella liturgia, è ripresa la citazione (Sal 117, 22) riportata negli Atti, per bocca di Pietro:

«la pietra, scartata dai costruttori, è divenuta testata d’angolo»

I salmi erano, per I buoni ebrei, un libro familiare, da cui attingevano per le loro preghiere quotidiane, fino ad impararne ampi brani a memoria.Riportare la figura del Cristo alla scrittura sapienziale biblica significa renderlo comprensibile al popolo d’Israele.
Non è infatti iniziata sotto I migliori auspici il proseguimento dell’opera di Cristo, tramite gli Apostoli: sin dagli albori, la Chiesa nascente si ritrova perseguitata e alle strette. Così come Cristo ha dato fastidio ai potenti del mondo, per un insegnamento, non disgiunto dall’azione che metteva in luce la grande dignità degli uomini e delle donne, sulla base dell’amore di Dio per loro, anche gli Apostoli si trovano invisi alla comunità giudaica di Gerusalemme.
Del resto, ancora adesso, persino tra cattolici, risulta eccessiva e fondamentalista l’affermazione di Pietro: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati » (At 4, 12). Tante sono, infatti, le religioni del mondo, perché inevitabile è la ricerca del sacro nel cuore dell’uomo; uno solo però è Gesù Cristo, compimento del cammino di un Dio che, dopo esserci venuto incontro, ha accettato di farsi uomo per amore, fino a darci la Sua vita.
Pietro, diventato santo, ma sicuramente (ce lo attestano i Vangeli!) non nato santo, ci ricorda la necessità di riportare, sempre e nuovamente (il nostro Io è prepotente e spesso prende il sopravvento!), Cristo al centro. Della nostra vita: individuale, familiare, parrocchiale, ecclesiale.
Nella liturgia, Cristo ci è indicato come il sole (cfr. Ratzinger, Introduzione allo spirito della Liturgia), senza il quale nulla può riprendere vita: ce lo testimonia la campagna che, in primavera, non attende che i primi raggi di sole per deliziare occhi e narici con i primi germogli. Solo in Lui, possiamo trovare nuova linfa, con cui nutrire la Vita, anche quando essa è spenta dalle situazioni negative.
«Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi stessi; noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato»(At 4,19-20) rispondono Pietro e Giovanni agli anziani; il vecchio e il giovane, l’uomo del fare e l’uomo mistico, a sottolineare l’unità della Chiesa, pur nella sua inevitabile varietà di doni e carismi. Questa è una Parola che non può non colpirci, facendoci pensare a tanti nostri fratelli nella fede che, ancora oggi, con la vita, stanno mettendo in pratica questa esigenza apostolica.

La storia di Khiria viene  dal Kurdistan:

«Sono nata cristiana e se per questo dovrò morire, preferisco morire cristiana». Così Khiria Al-Kas Isaac, 54 anni, cristiana irachena di Qaraqosh, fuggita dallo Stato islamico in Kurdistan, ha risposto agli islamisti che volevano costringerla ad abiurare. […]
Lei affrontava così i terroristi: «Ho risposto loro che preferivo morire cristiana e poi ho citato il Vangelo di san Matteo (10,33). Gesù disse: “Chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”». Un giorno, frustandola, le hanno detto: «Convertiti o ti farò ancora più male». E Khiria: «Sono una donna vecchia e malata. Non ho figlie o figli che possano incrementare il numero dei musulmani o seguirvi, che vantaggio ne avrete se mi convertirò?».
L’ultimo giorno prima di liberarla «un terrorista mi ha premuto la spada sul collo davanti a tutte le altre e mi ha detto: “Convertiti o sarai decapitata”. Io gli ho risposto: “Sarò felice di essere una martire”». Khiria è stata derubata di tutto quello che aveva, compresi i soldi messi da parte per un’operazione al rene, e rilasciata.

Di fronte a certe testimonianze, che fanno tremare le vene ai polsi, credo sia inevitabile sentirci un po’ troppo pavidi ed inadeguati.

Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per i vostri peccati e per l’incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i peccati, annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce; avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo. (Col 2, 13-15)

Con queste parole, San Paolo, nell’epistola della seconda lettura ci ricorda quale sia il vero senso della Pasqua, cioè riscoprire la verità dei figli di Dio, amati prima di diventare la migliore versione di noi stessi, liberati dall’oppressione di una legge che, rendendoci servi, mette in secondo piano il nostro essere figli. Sentirsi amati è la precondizione indispensabile per poter cambiare e diventare migliori. Senza l’amore, nulla cambia. Con l’amore, gratuito ed incondizionato, del Crocifisso Risorto, anche le storie più storte possono riprendere vita e raddrizzarsi.
La Domenica della Divina Misericordia, che celebriamo in questa settimana, è, d’altra parte, monito tenace che, se abbiamo il coraggio di alzare lo sguardo a Cristo, come fece Pietro, il serbatoio del perdono di Dio non va mai in riserva!


Rif: letture festive ambrosiane della II Domenica di Pasqua – della Divina Misericordia

Fonte immagine: Flickr

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