Quando entra, la città in piedi gli si getta ai piedi: se uno sa dove andare, chi Lo incontra si fa da parte, gli lascia strada. A Gerusalemme Cristo è già stato svariate volte: le mura arrossate all’ora del tramonto, il farfugliare confuso della gente, la cianfrusaglia del mercato. Non c’è nulla di nuovo per Lui in quella città ricca di fasti e di sfratti. Gerusalemme ha tutto l’occorrente, le sfuggirà il Tutto che oggi pare superfluo: «Quando l’intima bellezza scompare, abbiamo bisogno del lusso per rivestire la nostra nudità» (F. Sheen). Torna da lei, il Cittadino che non ha dove posare il capo, nemmeno di che mangiare. Ritorna non condotto, bensì a condurre: stavolta è Lui a capeggiare quella truppa d’assaltatori che per tre anni Gli sono andati dietro, masticando parole dure come la roccia e dolci al pari del miele. Ci entra da condottiero, tanto che Giuda gode assai nel vedere quell’amico così simile a come l’immaginava: armato, ghigliottinaio, tagliatore di teste. Un Cristo così, pur in sella ad un asino, pareva un Cesare dorato. Tempo tre giorni e quella medesima città Gli si rivolterà contro, giurando il falso sulla loro frequentazione. Pietro, pescatore improvvisatosi spadaccino, alza la voce a nome di tutta la classe del Maestro: «Non conosco quest’uomo di cui parlate» (Mc 14,71). Non s’era mai udito che, accanto alla fiamma del fuoco, un uomo potesse essere così freddo come il primo Papa dell’era cristiana. È accaduto, dunque è molto più facile che accada di nuovo piuttosto che se non fosse mai accaduto. Il Cristo verrà sempre venduto per molto meno del suo valore.
Poco importa: per ribaltare il mondo, Dio scelse una storia di passione: l’altra alternativa era la superstizione. Scelse la prima, detestò la seconda. Nella città dei pianti – «Gerusalemme, Gerusalemme quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto» (Lc 13,34) – Cristo redige la sua passione: “Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo l’evangelista Marco” proclameranno nelle chiese. “Passione” è termine tecnico di sofferenza, ad altissimo indice di sudore. Con tutta la sua grammatica cucita addosso: ferite, cicatrici, ansie, tensioni. Dubbio, frastuono, stordimento. La passione del poeta, che è il vivere-male, il male di vivere: «Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia, era l’incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato» (E. Montale). Passione che è il preludio della fine: «Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?» “Passione”, però, è anche affare della visione, abita il campo semantico della bellezza: “È un uomo passionale. Pieno di passione!” Dice forza d’urto, accenno di profezia, scintilla in agguato. Viaggia sulle frequenze-medie dell’esagerazione: tutte le passioni sono esagerazioni. Sono passioni perchè esagerano, amori-esagerati: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). È una strada a doppio transito la passione di Gesù. Dice sofferenza, strazio, frantumi; richiama l’ansia della bellezza, il tocco del lirismo, la presenza del sublime. È medaglia con un’unica faccia: non c’è bellezza senza disperazione. Non c’è casa senza sfratto, Risurrezione senza Croce. Non c’è castità senza tentazione.
A Gerusalemme, sottovoce, Cristo sceglie la passione. Satana, ad alta voce, Gli propone la pensione: “Accetta la pensione, hai lavorato troppo in vita!” Tra passione e pensione, abita il mistero di una settimana ad alto tasso di erotismo, d’amore e di follia, di baci e d’insulti. Nella città delle palme oscillanti nessuno ha più tempo da perdere: né loro, né Lui, tanto meno l’altro, il farabutto. L’amore può aspettare una vita, ma la passione non aspetta un secondo. L’Uomo che oggi sta in sella al puledro, preferirà morire di passione piuttosto che di noia (liturgia della Domenica delle Palme).
Avrà ragione: «Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). La doppia-passione di Cristo è la giusta pensione di Satana. Che, pensionato, inizierà a lavorare in nero. C’è ancora un’iradiddìo di anime tutte da spartirsi.
(da Il Sussidiario, 24 marzo 2018)