Santa Giuseppina Bakhita, la santa “moretta”, definita da Giovanni Paolo II sorella universale, nasce nel 1869 (anno più, anno meno, perché, per chi nasce in certe zone dell’Africa anche la certezza della data di nascita è una chimera – ma vari elementi portano a pensare che il divario possibile non sia di più di un paio d’anni), nel Darfur, in un villaggio alle pendici dei monti Daju. Stiamo parlando della seconda metà dell’Ottocento, eppure se ascoltiamo la sua storia, ci accorgiamo – con raccapriccio! – che potrebbe risalire all’altro ieri, cambiando giusto di qualche chilometro le coordinate geografiche.
Racconta con serenità della famiglia in cui nacque, ma non ricorda il primo nome che ricevette: “Bakhita” è infatti il nome, arabo, impostole dai negrieri, quando, a 8 anni, è rapita. Il suo nome significa “fortunata”: non è da escludersi che vi fosse un intento espressamente denigratorio, tuttavia, anche anni dopo, si ritiene “fortunata” per davvero; vede, in tutta la sua storia, la mano di Dio, ed è grata a chi la rapì perché attraverso varie vicissitudini, ha in tal modo avuto modo di scoprire la fede in Gesù.
Subisce maltrattamenti e percosse, soprusi e violenze (le suore che la riporranno nella bara si commoveranno al vedere le 114 cicatrici, oltre alla profonda lesione sulla coscia destra), ma, interrogata su questo punto, negò di aver perso la verginità, durante il periodo di schiavitù. E già questo suona miracoloso, visto quanto fosse, ahimè, diffusa l’abitudine di imprimere questa ulteriore sopraffazione alle donne schiave. Venduta più volte, dopo qualche anno, arriva all’agente consolare italiano Calisto Legnani e raggiunge l’Italia nel 1885. Legnani affida Bakhita ai coniugi Michieli, suoi amici: A Zianigo, frazione di Mirano Veneto, inizialmente Bakhita fa loro da domestica e, a partire dall’anno seguente, anche da bambinaia della figlia Alice Michieli (Mimmina). Nel 1886, Bakhita e Mimmina seguono i coniugi Michieli in Sudan, dove questi hanno appena aperto un albergo. Probabilmente, tra i fautori della conversione di Bakhita, c’è la conoscenza diretta di Illuminato Checchini, un laico che ha risieduto a Zianigo negli stessi anni in cui ha vissuto lei e che le regala, con devozione, il primo crocefisso.
Successivamente, prima di trasferirsi definitivamente in Sudan per seguire gli affari di famiglia, si decide di lasciare la bimba, con Bakhita, ai Catecumeni di Venezia. Bakhita fa allora una scelta sofferta: rifiuta di seguire i coniugi Michieli, nonostante il forte affetto per la bambina, perché vuole proseguire nel catecumenato, che nel frattempo ha intrapreso.
Il 9 gennaio 1890, Bakhita riceve il Battesimo (ricevendo il nome di Giuseppina Margherita Fortunata), la Cresima e la Prima Comunione. Nel cuore di Bakhita, però, si fa strada un desiderio di stare vicina al Signore, che sconfigge anche il suo sentimento di indegnità. Ad esaminarla è proprio il futuro papa, Giuseppe Sarto, allora patriarca di Venezia, che la rassicura: : Il 7 dicembre 1893, Bakhita entra in noviziato, l’8 dicembre 1896 pronuncia i voti. Da quel momento, la sua vita è dedicata alla tessitura o al piccolo artigianato da vendere in favore delle missioni. Nel 1902, è trasferita a Schio (Vicenza), dove ha incarichi di cuciniera, sacrestana e portinaia. Nel 1922, si ammala gravemente di polmonite e riceve l’estrema unzione; qualche giorno più tardi, però migliora: guarita, è sollevata dall’incarico della cucina. Nel 1927, torna a Venezia per pronunciare i voti perpetui. Dall’incontro con Ida Zanolini, nasce il libro Storia meravigliosa, in seguito alla pubblicazione del quale affronta la prova della popolarità, per obbedienza e servizio alla causa («Speremo che giova per le missioni e specialmente per i miei, che non me ne importa de vederli qua su la tera, ma de vederli in cielo»).
Con la Seconda Guerra Mondiale e i bombardamenti aerei, la gente ha paura e la Madre Moretta sorprende tutti, con la sua fiducia nel buon Dio, che non vacilla neppure di fronte ai problemi di salute (risponde, invariabilmente, a chi le domanda come stia “Come che il Signor ghe piase: le lu ch’el comanda”).
Bakhita muore l’8 febbraio 1947. «Dopo morta non farò più paura a nessuno» ha modo di dire: nella sua vita, infatti, non mancano aneddoti di momentanea paura, legati al colore della sua pelle, a cui però sa rispondere con ironia, semplicità e serenità.
Il 17 maggio 1992, Giovanni Paolo II la beatifica, insieme con Escrivà de Balaguer: invece di essere “offuscata” da un uomo di Dio più famoso, ne riceve notorietà e la sua fama si espande in tutto il mondo. Il 10 febbraio 1993, Bakhita ritorna nella sua terra natale, riaccompagnata da papa Giovanni Paolo II, in occasione di un suo viaggio ufficiale a Khartoum, in Sudan. Santa Bakhita è canonizzata il 1° ottobre 2000, da Giovanni Paolo II.
“Credela che sia facile contentare el Pàron? Però mi faso tuto quelo che poso. El resto lo fa Lu”: in una frase, condita di dialetto, madre Bakhita è in grado di condensare il proprio abbandono confidente in Dio e – forse – proprio il motivo della sua santità.
«Nera come una sudanese, italiana come una veneta» la definisce Zanini nel suo libro. Ed è difficile immaginare sintesi più perfetta, dal momento che, dimentica della lingua natale, ha imparato prima l’arabo dei negrieri e, successivamente, un misto di italiano e dialetto veneto (le fu insegnato a leggere, ma non imparò mai a scrivere e le scarse “memorie” della sua vita sono sempre state raccolte sotto dettatura). «Una negra tanto amata dai bianchi. Sembra scontato, ma non lo è poi così tanto»: non lo era in quell’epoca, dove ancora il colonialismo imperava, ma neppure adesso possiamo ritenerlo scontato, se, nonostante la convivenza ormai pluriennale, il colore della pelle è ancora dettaglio da dover giustificare.
La prima nota da sottolineare è come, nonostante il suo passato ricco di sofferenza, i bambini e gli adulti che la conobbero come donna libera ne ricordano i modi gentili e affabili ed il sorriso: non ha mai sfruttato il proprio dolore e, anzi, tanti punti del suo passato non sono ben delineato per il pudore e la difficoltà con cui ella ne raccontava (“come bella bestia tutti me varda, ma mi voria lavorar, pregar per tutti e no vardar persone. E po anca i dise ‘poareta, poareta’ e mi no son poareta parché son del Paròn e nea sa casa. Quei che no i xe tutti del Signore i xe poareti ” ebbe a dire ad una consorella durante un incontro missionario).
La seconda nota che si può rilevare è il ricordo di come, già in Africa, del tutto ignara del cristianesimo, racconta di sé: «mi ala matina guardavo el sol che nasceva e ala sera quando el tramontava. E pensava che se el gera bel, più belo doveva esere quelo che lo gaveva fato». Quasi che quel “Dio ignoto” (At 17,23) non smetta mai di farsi presente, oggi come ieri, desideroso di mostrarci il Suo vero Volto.
Un’immagine sembra poi profetica. Daniele Comboni visse e lavorò a pochi passi dalla giovane sudanese, eppure i due non si incontrarono mai. Ora, nella cattedrale di El Obeid, un grande dipinto murale dietro l’altare raffigura la Madonna Regina d’Africa con Gesù Bambino, in un tripudio d’angeli. Ai loro piedi, Daniele Comboni presenta l’Africa, mentre a destra, in abito da canossiana, una giovane Bakhita prega in ginocchio. Suor Maria Lucia Tokoyo, sudanese, vede, infatti, Comboni come “il padre che porta alla fede e insegna all’Africa che può camminare da sola, mentre Bakhita ne è la dimostrazione”.
Al leggere la sua storia, infine, credo sia impossibile non interrogarsi sulla responsabilità personale, nell’evangelizzazione. Oggi, che le nostre strade sono sempre più affollate di persone provenienti da ogni angolo del mondo, il nostro slancio missionario dovrebbe essere, con spontaneità, rivolto a loro. Non perché noi siamo meglio di loro, ma abbiamo avuto unicamente il dono di essere informati, sin dall’infanzia, su chi sia Cristo. Perché non farne dono anche a loro, lasciando che sia poi Cristo stesso, eventualmente, a farlo maturare, indipendentemente da chi abbia “seminato” od irrigato” (1Cor 3,7)?
N.B. Le citazioni dirette, ove non diversamente specificato, sono da ritenersi provenienti da: Bakhita – la schiava diventata santa, Roberto Italo Zanini, San Paolo 2013
Fonte foto: Aleteia
Altre fonti:
Santi,beati e testimoni – Santa Giuseppina Bakhita