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A volte, basilare è la velocità, come nel video di questo salvataggio in extremis. Non c’è l’audio originale, perché le immagini sono probabilmente di una telecamera di videosorveglianza. Tuttavia, è intuibile, dalle reazioni rabbiose dell’uomo, che, probabilmente, ci sia stata una conversazione concitata e dolorosa. Non è dato sapere quale possa essere stato l’argomento (un amore infranto, la perdita del lavoro, la fine di un’amicizia, un prestito in denaro mancato), ma quel che è certo è che la donna, fino al momento prima in compagnia di un uomo con il passeggino, inizia ad avvicinarsi all’uomo che aveva concluso la conversazione telefonica con rabbia, forse col pensiero di chiedergli cosa non vada, o forse intuendo da subito le intenzioni di lui.

È incredibile pensare alla prontezza di riflessi ed alla capacità di comprendere immediatamente la situazione, occorre a questa donna per  salvare un emerito sconosciuto dalla morte. Sarebbe bastata una manciata di secondi d’incertezza a mutare irrimediabilmente il finale di questa scena. Invece, senza perdere neppure un attimo nel domandarsi cosa fare, ha fatto l’unica cosa giusta, a dispetto – forse – di ogni logica e ragionamento.
Perché, del resto, se ci domandassimo se sia corretto interferire in questo modo con la libertà altrui (il suicidio non è forse espressione di una volontà?), dovremmo anzi ritenere egoista l’intervento della donna, in quanto non ne ha tenuto conto. Queste immagini invece sono così eloquenti da mostrare chiaramente l’eroismo di questa donna, che inizia molto prima dell’atto in sé: risiede, infatti, nella deliberata scelta di uscire da sé e dal proprio mondo (magari felice e privo di problemi: l’andatura sua e del compagno è infatti serena e rilassata), lasciandosi interpellare dal dolore e dalla tragedia di un altro (ignoto) a cui passa accanto. In una società, come la nostra, che tende a chiudersi, già questo è un piccolo miracolo. Avere avuto grazia di uno sguardo reattivo e perspicace, come ogni madre, ha fatto il resto.
Altre volte, invece è la profondità di uno sguardo, in un incontro che cambia il verso della propria vita. Lo racconta Christine Roy: nata in una famiglia cattolica, come tanti altri, se ne allontanò in seguito, in cerca di libertà, secondo il motto «né Dio, né Padrone». Una notte, mentre vagava, nei pressi di una discarica, in preda allo scoraggiamento, meditando il suicidio, racconta di aver avvertito una Presenza, che ha visto forma di luce. E tra sé, il pensiero è stato: «Ma allora esisti». In quel momento, si è resa conto che la libertà, che andava cercando, non riusciva a colmare davvero la ricerca di senso e che quel Dio, che la amava, non le avrebbe tolto nulla di sé e della propria personalità. La gioia che l’ha pervasa è stata una sorta di sigillo a questo pensiero.
Come spesso accade, il cammino verso Cristo non è solitario, ma in compagnia di qualcuno: Christine parla con un sacerdote ed ha un incontro rilevante con un monaco, che la indirizza verso l’adorazione eucaristica, in cui lei vede il «bel volto del risorto». È l’inizio del cambiamento e di una nuova vita, corroborata dalla consapevolezza di una Presenza che permea la sua vita, caratterizza ora dalla frequenza quotidiana alla messa ed all’Adorazione Eucaristica, nella certezza che “Dio è Amore” (1Gv 4,8).
La realtà, in tutti i casi, è la necessità, dell’animo umano, di sentire, sopra di sé, uno sguardo che ama e che ci dica: «Tu conti: l’impronta del tuo passo non è indifferente, su questa Terra». È nell’incontro con quest’Amore, talvolta e spesso mediato dall’incontro con una persona, che il nostro stesso sguardo, sulla nostra vita e su quella altrui, può cambiare, cercando d’assomigliare a quello di Dio.


 Fonte immagine: pexels

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