Mi sono servite tre settimane per riuscire a scrivere queste righe-di-grazie. Volevo fossero parole vive, accese, vere: non di cortesia, nemmeno di formalità. Per farlo avevo la necessità di ritrovare un frammento del mio passato: mi era tornato alla mente una delle ultime volte che ho incrociato l’abbraccio di Papa Francesco. Durante le vacanze di Natale, complice la memoria di ferro della mia mamma, sono riuscito a trovare quello che cercavo. Ve lo voglio raccontare: è di una tenerezza che profuma di grazie.
Avevo undici anni e frequentavo la seconda media. Pur piccolo per età e statura, nel cuore sentivo già ardere la fiamma di un’immensa passione. Un anno prima, tirate giù le serrande alla scuola elementare, avevo fatto la valigia e, salutata casa-mia, mi ero messo in strada per tentare d’immaginarmi la vita in proprio. Una cosa era talmente chiara da diventare il mio punto-infiammato: non avrei mai permesso che qualcuno firmasse la vita al posto mio. Heri, hodie et semper: ieri, oggi, anche domani. Il Seminario Minore di Padova fu la mia nuova casa: mura domestiche il cui calore umano custodirò per sempre nel mio cuore.
Avessi dieci anni, ripartirei: quella rimarrà casa-mia.
Leggere mi piaceva, a scrivere provavo diletto, la scuola è sempre stata per me un piacere, anche un divertimento. L’ho considerato un privilegio poterci andare: quella possibilità era il frutto sudato del sacrificio di mia mamma e mio papà. Appeso alla bacheca della scuola, un giorno lessi un avviso. Una sorta di annuncio-pubblicitario, uno dei tanti. Promuoveva un concorso letterario che al vincitore del primo premio offriva 500mila lire. Quando lessi quei soldi, pensai a papà che aveva da poco perduto il lavoro. Partecipai, pensando: “Se vinco, per un anno riuscirò a non chiedere soldi a mamma e papà. Vedo la loro fatica da quando papà non ha più il lavoro”.
Il titolo del tema – sponsorizzato dal Serra Club di Padova – mi incuriosiva, era materia d’immaginazione per un bambino curioso come me: «Immagina un incontro con il Papa: cosa gli diresti e cosa pensi ti direbbe». Ricordo d’averlo scritto in treno tornando a casa, un sabato pomeriggio. Poi l’ho dato alla mia mamma che lo leggesse, lo correggesse. Tre mesi dopo, tramite raccomandata con ricevuta di ritorno, mi dettero notizia della vittoria. È stata la prima soddisfazione in materia di scrittura. Altre se ne sarebbero aggiunte: la prima, però, non si scorda mai.
Ricevetti quei soldi e, appena ricevuti, li consegnai ai miei genitori: volevo contribuire, nel mio piccolo, al sostentamento di casa nostra. Il tema che ho scritto – avevo undici anni, facevo la II^ media – oggi, forse, fa sorridere. Personalmente mi fa sorridere. Questa, però, è la vita: la più inimmaginabile di tutte le avventure immaginabili.
Era un giorno d’estate quando, assieme ad alcuni amici del Seminario Minore di Padova, mi trovavo in una località delle Dolomiti. Passeggiavo lungo una strada di montagna, osservando le meraviglie della natura, quando all’improvviso vidi scendere da una macchina una persona vestita di bianco. Mi avvicinai e con grande stupore riconobbi il papa.
Mi inginocchiai e gli baciai la mano dicendogli:
«Ciao, sono Marco».
Un nodo alla gola mi assalì tanto da non riuscire a dire nulla. Eppure dovevo parlargli, dovevo dirgli delle cose che tenevo dentro di me. Dopo qualche istante di silenzio e con lo sguardo fisso nei suoi occhi gli dissi:
«Grazie, Santo Padre, per la stretta di mano che per me resterà indimenticabile. Grazie sopratutto per esserti degnato di scendere dalla macchina e avvicinarmi. Una cosa vorrei chiederti: poter fare un lungo viaggio per il mondo con te, attraversare gli oceani e arrivare là dove la gente ancora non ti conosce. Vedere tanti giovani in festa che ti vogliono bene, portare la parola di Gesù a quelli che ancora non la conoscono. Poter vedere da vicino la miseria di tanta gente, mentre per me a volte c’è il superfluo. Poter asciugare qualche lacrima, avvicinare tante persone. Questo per me sarebbe una cosa meravigliosa e segnerebbe la mia vita per sempre.
Un’altra cosa vorrei chiederti. Se avrò la grazia di giungere al traguardo della strada intrapresa, essendo al secondo anno di Seminario, che tu stesso possa benedire la mia ordinazione sacerdotale. Che ne diresti?».
Mi guardò negli occhi e mi sorrise: «Sono richieste da grandi, disse, tu sei ancora un bambino ma il tuo cuore tiene dentro cose meravigliose. Bravo, Marco, continua così e vedrai che la Madonna ti tiene per mano e ti condurrà a quel traguardo che tu definisci meraviglioso. Sei un bambino coraggioso e altruista, va’ e spalanca il tuo cuore a tutti, senza alcuna distinzione. Sii testimone autentico di Cristo, prodigati in particolare verso i poveri, gli ammalati, gli emarginati, vivi la tua vocazione in modo tale che altri giovani, sul tuo esempio, sentano il desiderio di seguire Cristo».
Parole profonde che hanno lasciato una forte emozione dentro di me e che mai potrò dimenticare. Mentre lui saliva sulla sua macchina e con la mano benedicente mi salutava, il mio sguardo lo seguiva lungo la strada che si perdeva nel verde del bosco.
Credo forse di aver usato un po’ troppa fantasia nel descrivere questo storico incontro con il Papa, ma grande sarebbe la mia soddisfazione se almeno qualcosa diventasse realtà.Marco Pozza, II^ media, da Calvene (VI)
Frequentai la seconda media nell’anno scolastico 1991-’92. Quelle parole di bambino, a leggerle oggi, mi procurano un’infinita tenerezza: «Credo forse di aver usato un po’ troppa fantasia nel descrivere questo storico incontro con il Papa, ma grande sarebbe la mia soddisfazione se almeno qualcosa diventasse realtà». Quel giorno, mentre in treno scrivevo il mio tema, non potevo immaginare, pur fortissimo in materia di fantasia e cose affini, quello che il buon-Dio mi avrebbe riservato, senza poter vantare alcun merito, venticinque anni dopo. Di incontrare Papa Francesco, sedermi accanto, sentirlo il mio più inaspettato compagno di viaggio nel programma Padre nostro. Nella mia vita di ragazzo e di sacerdote: un padre, dopo mio padre.
Questo ricordo – che appartiene alla memoria collettiva della mia splendida famiglia – lo devo alla mia mamma che, come tutte le mamme, custodisce tutte le cose che riguardano i loro bambini. Per venticinque anni ha tenuto nascosto nel suo cassetto, in camera, questo tema: in questi giorni, appena il programma si è concluso, me ne ha fatto dono. Il più bel regalo di tutti questi mesi.
L’ho raccontato perché voglio tradurlo nel mio personalissimo grazie da indirizzare a tutti quelli che hanno reso possibile questo viaggio straordinario. Assieme ad Andrea Salvadore e alla nostra splendida squadra di lavoro (auguro a tutti di poter lavorare con professionisti di questa levatura. È una lezione di vita, di stile, di passione) non saremmo stati capaci di immaginarne uno di più bello. Anche se il bello deve sempre-ancora a venire!
È anche una pubblicità che faccio ai sogni: prima o poi s’avverano sempre.
Quando meno te l’aspetteresti, in una misura sempre più esagerata di quella che oseresti immaginare.
don Marco Pozza
Teologo e parroco del carcere “Due Palazzi” di Padova
(con tutta la squadra di Padre Nostro al completo)