Questa domenica, dedicata alle Nozze di Cana, si apre con l’immagine di un enorme banchetto di prelibatezze e vini pregiati, che Dio, l’Eterno, “che sfama i viventi” (Sal 144, 16) prepara per l’uomo. Il cibo offerto, da sempre immagine di accoglienza ed ospitalità, è – per antonomasia – tra i principali modi di sancire alleanza. È condivisione dei beni: a partire dal pane e dalle vivande, spartite con gli ospiti. Se Dio offre del cibo, abbiamo un capovolgimento, rispetto ai riti antichi pagani: invece di essere gli uomini a fare sacrifici verso la divinità, bruciando in offerta le proprie primizie, quale cibo di cui farla partecipe, è la divinità che “prepara un banchetto”, che, quindi, offre qualcosa di sé.
Come non vedere in questa splendida immagine veterotestamentaria una prefigurazione del Cristo che “offre la vita, per poi riprendersela” (Gv 10,17)?
Qualcuno fa notare quale tratto prettamente femminile vi sia nel notare una mancanza, in un banchetto di nozze, che sovrabbonda, in genere, di ogni ben di Dio: sono le donne, del resto, che tengono conto della dispensa, cercano gli sconti migliori al mercato e si occupano dell’economia domestica, con cui far quadrare il bilancio familiare. Basta poco, quindi, alla Vergine, perché le salti all’occhio quel deficit di vino: subito deve aver compreso quale brutta figura stavano rischiando di fare gli sposi, di fronte ai loro invitati. Invece di rivolgersi al Maestro di Tavola, preferisce andare sul sicuro, indirizzandosi al Figlio. Eppure, non c’è entusiasmo, nella risposta di Gesù. Vi notiamo una certa freddezza, un fastidio, nel modo in cui risponde al richiamo materno: rivediamo quasi quel Gesù dodicenne, un po’ ribelle, che si allontana dai genitori, senza dir loro nulla, durante il pellegrinaggio a Gerusalemme. Tuttavia, l’«ora» a cui Cristo fa riferimento è importantissima, in quanto evidenzia il costante agire «in accordo con la volontà del Padre»1 Maria, tenace anche in questa occasione, non demorde e, nonostante la risposta non suggerisse grande disponibilità, dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”. Confidando che, alla fine, come la vedova insistente (Lc 18,2-5), anche lei l’avrebbe avuta vinta sul Figlio di Dio. Riprova di quanto Maria sia Maestra affidabile della vera fede in Dio, quella capace di smuovere le montagne (compresa quella di un figlio ostinato).
Non è difficile immaginare lo stupore dei servi, a miracolo avvenuto. Soprattutto perché, come avverrà in seguito per la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ciò che colpisce è la sovrabbondanza: così come là avanzarono dodici ceste (Mc 6,43), qui abbiamo 520 litri di vino per una festa privata. L’acqua, segno dell’essenzialità, è mutata in vino, quasi a suggerire che, per l’uomo, non è sufficiente sopravvivere, ma ha bisogno della convivialità e di nutrirsi della bellezza che nasce dalla condivisione.
C’è molto della Madre, in questo brano di Vangelo delle Nozze di Cana, tuttavia, possiamo trovare il vero senso di questo miracolo gratuito e – ai nostri occhi – quasi inutile (dal momento che non guarisce alcun malato né ridà la vita ai morti), proprio in un versetto della prima Lettura: «Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25,8). «Dio non è dei morti, ma dei viventi» (Lc 20,38): ecco perché non c’è aspetto della vita da cui Egli possa considerarsi alieno. Noi “siamo suoi” in ogni nostro aspetto, non ci viviseziona, tenendo per sé, solo la parte: ci sprona a dare sempre il meglio di noi, ma ci accoglie in ogni nostra sfaccettatura, dalla più seria alla più giocosa. E non vuole essere tenuto al di fuori della nostra festa. Non solo vuole farne. Vuole essere Lui la nostra festa!
«In lui camminate, radicati e costruiti su di Lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie» (Col 2,8): questa la raccomandazione, sempre opportuna, che l’Apostolo fa ai suoi. Se Cristo sovrabbonda, per primo e gratuitamente, nel dono di Sé, il minimo è rendere grazie in modo proporzionale al bene ricevuto, cioè, senza stancarci mai di ringraziare (cosa difficile, perché dobbiamo prima mettere da parte le lamentazioni, per poterlo fare!). È poi bene ricordare quale sia il contenuto della fede. Il rischio sempre in agguato è quello di scadere in personalismi sterili, o in attivismo convulsivo, dimenticando così che il vero centro dovrebbe Gesù e non altri aspetti, pur positivi, ma, inevitabilmente, collaterali, rispetto all’Irrinunciabile.
Mi piace concludere con un’immagine finale che è una carezza dell’Altissimo: se «la mano del Signore si poserà su questo monte» (Is 25,10), è perché Lui è disposto a benedirci, venendo verso di noi, non una volta sola, ma ogni volta che la nostra ostinazione lo renderà necessario!
[Riflessione presente anche sul sito www.solidando.net]
Rif: Letture festive ambrosiane II Domenica dopo l’Epifania
1 J. Ratzinger, Gesù di Nazaret, Rizzoli, 2007, pag. 293