Il Battesimo che, a quel tempo, Giovanni impartiva sulle rive del fiume Giordano non aveva il significato attribuitogli in seguito, presso i primi cristiani, di “ingresso nella comunità”, né di remissione del peccato originale. Più che un segno, era simbolo di un’intenzione interiore di rinnovamento spirituale (e concreto) della propria vita.
Giovanni predicava, invitando alla conversione, probabilmente usando parole molto simili a quelle della prima Lettura, in cui si auspica un ritorno a Dio, che avviene attraverso una condotta che segua ed adempia la giustizia e la rettitudine. Se ci pensiamo, del resto, ancora adesso, ciò che allontana gli uomini dalla Chiesa è subodorare comportamenti ipocriti nei suoi frequentatori. Potremmo dilungarci sul fatto se questo sia (oppure no) un atteggiamento corretto, ma è innegabile constatare questo comune sentire. Che, in sé, non è neppure del tutto sbagliato. A maggior ragione, per chi crede in Cristo, Verbo fatto carne, non è concepibile una fede che sia a se stante dalla quotidianità.
È pur vero, tuttavia, che ridurre la fede unicamente ad una serie di norme morali da rispettare oppure valutare la bontà di essa sulla base della sua pratica sarebbe in realtà riduttivo. La fede è innanzitutto amore e, prima ancora, è la disponibilità a ricevere l’amore di Dio. Tutt’altro che banale, significa porsi in ascolto di un Dio che è disposto a scendere fino a noi, pur di incontrarci.
Facciamo fatica ad inginocchiarci, ancor più a prostrarci, in segno di rispettosa adorazione, nei confronti di Dio. Eppure, Dio, contro ogni previsione, ha accettato di umiliarsi, ha accettato di “farsi piccolo”. Con la sua Croce, è diventato ponte di misericordia, tra Terra e Cielo.
Nonostante si ritenga che la vita pubblica di Cristo inizi con le Nozze di Cana, prima d’allora, ci fu una breve incursione di Cristo, tra la sua gente, in mezzo ad essa, sulle rive del Giordano. Quel Battista, che proclamava «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo» (Mc 1, 7 – 8), si ritrova davanti proprio quel Messia (e suo parente!) di cui parla, che gli chiede di essere battezzato. Facile immaginare il Profeta recalcitrante, come ben mostra Matteo (3,14), che professa, ad un tempo, la propria inadeguatezza e la sconvenienza del ritrovarsi del Cristo in mezzo ad una masnada di peccatori. Eppure, il Nazareno che, dimesso, invita Giovanni a “lasciar fare” (Mt 3,15), pone dinnanzi a lui ed agli astanti, un inaspettato spettacolo. Il cielo si squarcia, così da permettere allo Spirito di discendere ed una voce risuona: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1, 11).
Parte dal basso, ma, come una colomba, vola alto, questo Messia. Alla prima apparizione pubblica, segnalata nel Vangelo, riceve il suggello dell’Altissimo a certificazione d’amore perpetuo. Ora, che il Figlio, l’Unigenito, sia amato da Dio, non provoca particolare stupore.
Ciò che muove il cuore è piuttosto pensare che ci possa essere un Dio che ama “fino alla fine”; che ama in tal modo ciascuno di noi e che, per ciascuno (nessuno escluso!), ripete le stesse parole che ha pronunciato quel giorno, nei riguardi di Gesù: sei amato, sei voluto, mi piaci!
Sapendo che l’amore di Dio non è volatile e passeggero, bensì durevole ed eterno, tale proclama risuona – ancora oggi – come garanzia di fedeltà, continuazione di quello shemà, Israel che il Signore rivolge al proprio popolo, assicurandogli la Propria perpetua presenza, nella Storia. Dell’Umanità e di ogni uomo.
Solo con la consapevolezza di questa eterna Presenza, anche noi possiamo aspirare a conformarci al disegno che Dio ha su ciascuno di noi, nel posto e nel luogo ove noi siamo.
[Riflessione presente anche sul sito www.solidando.net]
(Rif: letture nella Festa del Battesimo del Signore, Anno B)
Fonte immagine: www.nondisolopane.it