donna finestra luce

Le prime parole del profeta Isaia richiamano alla mente le madri in gamba che, per evitare che il figlio poltrisca nel letto oltre il dovuto, magari illuso di rifarsi della stanchezza dopo i bagordi della notte prima, invita, spesso bruscamente, al risveglio («Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te»).
Di solito, in seguito a qualche suono indistinto, generalmente, segue l’osservazione che si ancora presto, che ancora non ci sia luce («ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli»). Ma il profeta, quale madre premurosamente esigente, non si è affatto sbagliato («ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te»): l’anticipo non è un errore, bensì un più preciso calcolo. Per essere pienamente “svegli”, di fronte all’ora attesa, non basta svegliarsi quando arriva la Luce: sarebbe troppo tardi. È necessario prepararsi e mettersi in cammino, perché il sole (Cristo, l’Oriente) può sorgere davvero, solo se il nostro cuore è già sveglio ed in attesa di Lui. Il cuore va preparato, prima: mentre la Luce è ancora in viaggio.

Oggi è festa di Luce, una delle quattro principali solennità del tempo liturgico (con Pasqua, Pentecoste e Natale): «cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere». Quella Luce, grazie ai quali i Magi decidono di mettersi in viaggio ed in nome della quale intraprendono un lungo cammino è Cristo stesso. Probabilmente, all’inizio, non ne erano consapevoli: hanno visto una stella, una luce e l’hanno seguita, spinti dal desiderio di conoscenza, alimentato dalla curiosità.
Eppure, in questa sete di conoscenza, già c’era il germe della fede, perché solo la fede può mettere in viaggio, pur senza la certezza che la meta esista e sia raggiungibile. Lo scetticismo invita a non fidarsi, il realismo inizia a mostra – in una tabella di pro e contro – le probabilità di successo e fa comprendere che il rischio non vale la candela. Solo la fede può spingere al cammino, nonostante sia molto più agevole e più ragionevole, fermarsi a guardare, da lontano, senza “sporcarsi le mani” direttamente. Sicuramente, infatti, questi misteriosi personaggi, che la tradizione identifica nel numero di tre unicamente in base al numero dei doni da loro portato, fecero un viaggio faticoso ed impegnativo, dal momento che essi vennero “da lontano”.
Giunti a Betlemme, aprirono i loro scrigni, per offrire al Bimbo divino oro, incenso e mirra. Mirra, per l’Unto del Signore: è questo il dono più caratteristico ed un diretto richiamo messianico alla morte in croce, che Gesù riceve da bambino e che probabilmente avrà sconcertato i suoi genitori (possiamo notare infatti, che dei tre doni, è anche l’unico non predetto da Isaia!). Oro, per il Re dei Re. Incenso, per il Figlio di Dio, sommo Sacerdote del culto nel Nuovo Tempio, che è il suo stesso Corpo.
«A quella vista sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore» (Is 60,5); lo dicono, ad Erode che lo chiede: “Siamo venuti per adorarlo!”. Tutta quella strada solo per quello? Ci sono visioni che, passando per gli occhi, inebriano il cuore e lo saziano, così come fa il cibo quando riempie lo stomaco. Sazia un desiderio che però va oltre il corpo: è desiderio, intimo e grande, di stare alla Presenza e richiama, inevitabilmente, all’adorazione di Gesù-Eucaristia, ancora oggi disponibile per noi, nelle nostre chiese, come lo fu per i magi a Betlemme.
Vi è poi un’annotazione finale, nel Vangelo, quasi una postilla. Complici le pessime disposizioni di Erode (che temeva per il proprio potere), nei confronti del Divino Infante, «per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt 2, 12). Quando l’Incontro, per antonomasia, cambia la vita, non puoi restare come prima. Farai le cose di prima. Ma riempite di un contenuto nuovo: la consapevolezza della presenza, in ogni piega della storia, personale e collettiva, del Dio-con-noi!

 

Fonte immagine: Targetdonna

(Rif: letture della Solennità dell’Epifania del Signore, in particolare: Isaia 60, 1-6; Matteo 2, 1-12)

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