mimanchi

Venne al mondo in uno spazio largo come un guscio di noce: «Lo depose in una mangiatoia» (Lc 2,7). Da quell’angolo prospettico che odora di strame, il punto più in basso dell’intera Betlemme, dichiarò, senza uso di parola, d’essere Re dell’universo. Per parte di Padre poteva vantare il lusso di guardare il mondo dal’alto verso il basso. Decise d’essere sguardo-contrario: a guardare il mondo dall’elicottero erano capaci tutti. Troppe le divinità che, fino ad allora, s’erano comportate così: prime-donne viziate per troppe riverenze, col piglio truccato, le parole d’aceto. Scelse, senza obbligo di scelta, di non fare il prezioso, pur essendo l’Atteso-prezioso: «Non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio». Figlio-di-Papà, decise di spalancare le porte di casa loro, senza fare il figlio-di-papà alla maniera di quaggiù: «Ma spogliò se stesso, divenendo simile agli uomini» (Fil 2,6-7)Che tutti chiamassero loro-padre il padre-suo: “Padre nostro che sei di tutti”. S’immaginavano un altro a Betlemme: il Dio-salvatore mica poteva essere uno straccio di mendicante senza acqua nè elettricità. Per troppo orgoglio di chi l’attendeva, lo confusero con uno dei tanti ciarloni, non Gli accreditarono attenzioni minime. Reietto, Lui colse la palla al balzo per mettere a soqquadro il mondo-abitato: alzò il tappeto di casa, staccò la vecchia carta-da-parati, si affrettò nel sottoscala di Betlemme, si mise a frugare tra gli avanzi delle feste. Scoprì d’essere nelle condizioni migliori per trafiggere di sorpresa l’umanità indaffarata, per mostrare che faccia aveva il Dio tanto invocato. Piantò tenda-in-mezzo: «Occupa una mangiatoia, e colma di sè il mondo» (F. Sheen).
A Betlemme toccò terra, mise i piedi a terra: che più nessuno potesse dire che Dio stava tre-metri sopra il cielo. Che tutti vedessero di che pasta era fatto il Dio-Bambino: pasta che era un impasto di storie, incrocio di sangui, crocevia di arrivi e destinazioni. S’annunciò di notte, perchè convinto del fatto-suo: siccome era la Luce, di notte la luce vale-doppio. Vale-oro. Nei pressi di Betlemme erano troppo complicati per afferrare che, giungendo di notte, aveva fatto della notte il suo biglietto da visita: più nessuna notte, dopo quella notte di fraintendimenti e tradimenti, sarebbe stata così oscura da impedire a Dio d’accenderla. Eppoi era annuncio di guerra a Lucifero, ai pipistrelli: siccome nessun pipistrello ama la luce, scelse di sfidarli a casa loro. Di notte, nella notte: per accendere la notte. Il Dio-Bambino nacque così: sottovoce, in punta di piedi, pancia a terra. Diedero notizia della sua nascita, a bassavoce, due amanti portati da Dio sull’orlo di una crisi d’identità: un carpentiere di bottega, una giovane donna casa-e-amore. Nel breve battito di due eccomi ancor oggi densi di mistero, fecero la famiglia che diventò famiglia-di-famiglie. Date tempo al tempo e Giuseppe vanterà il più alto tra i primati maschili: sarà l’unico a poter dire, senza mentire, d’aver avuto Dio come garzone di bottega. Ad avergli trasmesso il più arcigno tra tutti i mestieri-dal-basso: farsi uomo. Maria, così umile da sedersi per terra alle riunioni con le amiche nazarene, vanterà, pur senza mai farlo pesare, il privilegio di avere una Luna come sgabello. Entrambi, nella stalla-salotto, tengono Dio in braccio. L’accarezzano, gli danno del tu, lo baciano. Amore artigiano, luce di casa.
Nacque confuso tra la gente-bassa Colui che domani confonderà la gente-alta: «E’ soltanto ad essere piccoli che si giunge a scoprire qualcosa di grande» (F. Sheen). Fuori dalla stalla di Betlemme nessun fiocco ne annuncia la nascita: c’è una stella a segnare la traiettoria. Una stella è annuncio di arrivi, presagio di partenze, sono sensi storditi. E’ una scritta – “Mi-manchi-tantissimo” – attaccata alla cupola del cielo. In troppi avevano spergiurato all’uomo quella mancanza: a Dio non venne in mente altra maniera per dire all’uomo “mi-manchi” che non fosse quella di farsi trovare sottocasa. Faccia-a-faccia, piedi per terra: è Natale.

(da Il Sussidiario, 25 dicembre 2017)

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