[ Intervista a Marino Pagiusco, malgaro ]
Il silenzio della piana di Marcesina – ultima propaggine vicentina ormai prossima al Trentino – è rotto solo da qualche canto: voce rauca di pastori. Un canto intonato allo spuntar dell’alba. E uno allo spuntar della luna per vincere la solitudine. Scarponi annodati, pezzi di faggio convertiti in bastone, ululato di cani. E poi 100 giorni intervallati da pascoli, mungiture e silenzi. A poggiare l’orecchio sulla terra, è un concerto di voci che s’inabissa nel silenzio. Sono grida lontane: di combattimenti spietati, di fucili piantati, di cipressi che sorvegliano su sanguinose storie d’uomo. L’erba strappata alla terra madre, il fieno aggomitolato nelle marèle, l’odore dell’urina delle bestie, le tracce di letame sul sentiero non son segni d’incuria o schifezza: è la verginità di un mondo che si sfama di semplicità.
Quassù, addomesticati dalla solitudine, osano i pastori. Ospiti della notte.
I pastori migliori sconfinano dove termina la vegetazione. Ne insidiano i bordi. Dell’italiano lessico son privi, ma i loro nasi sono prodigiosi: avvertono la pioggia a molte miglia di distanza, interpretano l’odore della terra appena scaldata dall’estate. Sanno custodire il fascino delle nottate in alta montagna. Fiamme di falò che disegnano steli di grano, armenti a ruminare sotto il bisbiglìo delle stelle, latte che s’ingigantisce nelle poppe delle vacche, lana che cresce copiosa su dorsi insecchiti dalla calura. E poi le voci attorno al camino, con la memoria che va a ripescare nel pozzo della memoria, giù giù fino a riascoltare voci di bracconieri, eco di amori lontani. Più in giù fino a riagganciarsi con l’alveo della propria discendenza.
Non sono pastori. Non hanno scelto d’essere pastori. Perché pastori si nasce, non si diventa. I pastori sono tali perché i loro padri erano pastori. I loro nonni erano pastori. I loro avi erano pastori. Solo gli armenti sono cambiati: tutto il resto è "passione che fa crescere un progetto" (Jovanotti). Pure la Scrittura Sacra tramanda storie di pastori. Mosè era pastore salariato. Di Ietro, suocero acquisito. Abramo era pastore. Davide fu pastore. E’ un vanto essere pastori.
Parola di Marino Pagiusco e dei suoi fratelli. Pastore pure lui: perché figlio di pastori. Dei sinonimi non è amante, ma il naso è prodigioso: nella terra di Marcesina trascorre pure lui 100 giorni. Come il Napoleone condottiero nell’isola di Sant’Elena. Tra le mura di Malga Quinto Loto (Enego) e Malga Buson (Rotzo) da tante estati vede il sole tramontare, i viandanti incuriosirsi, le vacche ruminare. Si sale a giugno, si scende a settembre: la festa di San Matteo è il loro addio doloroso alla montagna amica. La loro discesa è una cerimonia che nulla teme al cospetto di tutt’altre cerimonie. La chiamano transumanza (dal latino trans – humus, "passare da una terra ad un’altra"). Ma in realtà è una vecchia poesia ritmata da campanacci tinteggiati, asini che ragliano, scalpitare di cavalli. E un fiume di gente che attende il loro passaggio.
Ai bordi delle strade.
"Transumanza": parola ricca di poesia, di ricordi, di vecchie tradizioni. In realtà che cos’è?
In parole povere, perché del latino conosco appena l’esistenza come lingua. La transumanza è lo scarico delle malghe che avviene normalmente verso la fine di settembre, prossimi alla festa di San Matteo. Si portano le bestie in montagna ai primi di giugno e le si fa rimanere lassù per 100 giorni. Dopo di che ha inizio il viaggio di ritorno verso casa. La transumanza, per l’appunto.
Dalla piana di Marcesina alla pianura di Bressanvido (sede dell’azienda agricola Pagiusco). Dal silenzio della montagna alle voci del paese. Dall’alto verso il basso. Ogni anno la transumanza diventa sempre più la festa dei paesi. Della gente semplice. Delle scolaresche che per un giorno lasciano i banchi e si siedono sulle vecchie mulattiere.
E’ la festa delle malghe che si svuotano e dei paesi che tornano a ripopolarsi. A giugno si sale, a settembre si rincasa. Da 13 anni la penultima domenica di settembre ospita il ritorno a casa di un popolo, il popolo che d’estate trasloca in montagna: 470 vacche da latte, accompagnate da quasi 120 persone. A cavallo, in macchina o a piedi. Un viaggio complessivo di 85 km diviso in tre tappe incuneandosi tra Lazzaretti, Foza, Gallio, Asiago, Turcio, Fontanelle, Gomarolo, Crosara, Vallonara, Marostica, Nove, Pozzoleone, Poianella e arrivare a Bressanvido, la sede dell’azienda agricola Pagiusco.
La ceramica di Marostica e Nove, le vacche di Bressanvido. E’ qui che ha inizio la festa di un intero paese che si riversa sulle strade per dare il benvenuto ai paesani che ritornano. Con i loro armenti.
La festa qui inizia molto prima che arriviamo noi. E prosegue per una settimana intera dopo il nostro arrivo. E’ l’occasione per tutto il paese di festeggiare la fine dell’estate accogliendo l’arrivo delle bestie che lasciano la montagna. Quello che un viandante di passaggio riesce a scorgere è di una bellezza ineguagliabile: oltre 15.000 persone ogni anno s’ammassano sulla strada per assistere alla sfilata delle macchine d’epoca e dei trattori che anticipano l’avvento delle bestie. Quasi tre km di campanacci, schiamazzi e pastori affaticati. Ma non è solo gente del posto, sono anche persone che arrivano incuriosite da una tradizione che affascina perché semplice. Qualcuno parte da Milano e ci raggiunge a Marcesina per fare tutta la transumanza con noi, a piedi. Gente dal veneziano, dalla laguna. Gente che arriva apposta perché affascinata dalla magia di questa cerimonia.
Ai bordi delle strade panini, applausi, colori e striscioni: arriva la transumanza! La gente s’apposta ore prima per un saluto, un cenno di cortesia, una foto ricordo. Cosa significa tutto questo per un pastore?
Per noi è motivo di grande orgoglio. Intendiamoci bene: c’è sempre qualcuno che, stizzito (traduzione di un termine più saporito), non sa apprezzare il tutto. O di qualche macellaio che, noncurante di dove arrivi il suo lavoro, urla per la scompostezza delle bestie. Ma è un 3-4% che rende variegata l’attraversata della montagna: tutti gli altri lasciano trasparire l’immagine di un Altopiano educato, orgoglioso delle sue tradizioni, interessato a recuperare vecchi capitoli di storia. Nonostante il carattere apparentemente permaloso. E’ notizia delle ultime ore che quest’anno il sindaco di Asiago ha deliberato il passaggio della transumanza per il centro pedonale di Asiago: un modo semplice e naturale per dar lustro alla vita delle malghe e dei malgari. E per celebrare la X^ Festa della Transumanza. Ma anno dopo anno vediamo aumentare le richieste da parte di comuni e località che vogliono essere attraversate dalla transumanza: segno che dove passiamo portiamo, allegria, vivacità e colori. Assieme a qualche goto di buon vino e a qualche spigoleto di formaggio fatto in malga!
100 giorni a Marcesina. Tra preparativi e riordino quasi sette mesi isolati dal mondo. E visitati ogni tanto dall’uomo di città che, esausto dei clacson, insegue l’eco di antichi campanacci. Che parlano di solitudine, silenzio e poesia.
Sette mesi che si attendono da cinque mesi: perché questo è il lavoro più bello che esista. Essere pastore-malgaro è qualcosa di straordinario, non si riesce a raccontare: passione, sudore, fatica, compagnia, solitudine, incontri, amicizie, pensieri, urla. Vita. E’ innamorarsi dei propri armenti, fino a sentirli parte di te. Chi è orgoglioso delle rosse, chi delle frisone, chi delle rendene: si scelgono e si sposano come un calciatore decide di sposare la causa di una squadra per tutta la sua vita fino a diventarne la bandiera. Quando sale, l’uomo della città ti racconta di una ricerca: ricerca del sapore genuino delle cose, della freschezza, del latte di malga. Del silenzio. Vengono perché sanno quello che trovano. E cercano quello che sanno di trovare. Anche loro contribuiscono a rendere l’Altopiano un luogo di vita: se sparissero le malghe (80-90 in tutto l’Altopiano per una capacità di 7/8.000 bestie) s’impoverirebbe tutto il resto. Le bestie aprono le danze, la gente popola l’estate, la montagna riacquista il volto migliore.
Le vacche arrivano a giugno, ma iniziano ad aprile i preparativi: lo sfalcio dell’erba, dei barbaochi, dei pini piccoli. La recinzioni da tirare, le malghe da arieggiare, la natura da salutare. E’ una forma di rispetto per un ambiente che diventerà "casa nostra" per tutta la durata dell’estate.
Cammin facendo le vacche sostano alle "stazioni di posta", luoghi riservati per tradizioni e antiche leggi agli animali della transumanza. Al viandante assetato basti la lapide che l’attende lassù, ai bordi del Quinto Loto. E’ pensiero dello Stern scrittore: "Ma ci saranno ancora degli innamorati che in una notte d’inverno si faranno trasportare su una slitta trainata da un generoso cavallo per la piana di Marchesina imbevuta di luce lunare? Se non ci fossero come sarebbe triste il mondo".
Mancassero gli innamorati che reggono le tradizioni! Come sarebbe triste la storia degli uomini.
La transumanza è la migrazione stagionale delle greggi che prevede lo spostamento degli armenti dalle zone collinari e montane verso i litorali pianeggianti e viceversa. Spostamenti che prendono il nome di alpeggio. Nei secoli scorsi la transumanza condizionava assai la vita del pastore che non poteva contare sulla stalla, gli impianti di foraggiatura, mungitura e refrigerazione del latte. Oggi, vista la riduzione di chi la pratica, è diventata occasione per conoscere un’usanza che nel tempo passato era quotidiana normalità.
Quadretto familiare che ha mosso la penna di scrittori, poeti e pittori. La celebre poesia del D’Annunzio poeta diventi l’omaggio a coloro che, appassionati amanti della genuina storia dei semplici, ogni anno ci ripresentano una liturgia che riesce sempre ad emozionare. Evocando antichi racconti.
"Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natía
rimanga ne’ cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!Ora lungh’esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l’aria.
il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquío, calpestío, dolci romori.Ah perché non son io cò miei pastori?"
(G. D’Annunzio, I Pastori)