Siamo pieni di debiti! Dostoevskij scriveva che siamo indebitati col mondo intero. «Rimetti a noi i nostri debiti» è la seconda supplica che l’orante indirizza a Dio nel Padre-nostro: abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci guardi nonostante i disastri. È dall’essere perdonati che nasce il perdonare: «Come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Annullarci i debiti. Poi accettare che la logica di Dio entri dentro le nostre vene, una sorta di trasfusione di sangue. Per Dio i peccati non sono Affari tuoi: sono sempre affari-nostri. È il cuore del dialogo fatto con il presentatore televisivo Flavio Insinna.
«Il mondo del Padre nostro è il senso della vita: c’è veramente la vita nel Padre nostro. “Insegnaci a pregare”, quindi a vivere tra le persone, con le persone amando. È anche quel piccolo meraviglioso gioco di parole che si fa con “vivere con passione, compassione”. Cioè avendo compassione e vivendo lavorando con passione. Con passione non “Non ti tollero, poverino, vieni”, no: “portiamo questa benedetta croce assieme, la tua oggi e la mia”. A parte che dalla mia famiglia non mi aspetto più il perdono da nessuno, se non da nostro Signore. Perché questo mondo si è incattivito. Alda Merini, poetessa straordinaria, dice: lo sai qual è – e se siamo nei peccati ci sta anche la parola vendetta – lo sai qual è la migliore vendetta? La felicità: non c’è niente come la tua felicità che faccia impazzire gli altri» (F. Insinna)
«Perdonare – ci diceva la nonna – significa rimettersi le scarpe e ritornare sui propri-passi». Marcia indietro, magari con scarpe forate per troppo cammino. Collego il perdono ai piedi: invertire la direzione – chiedere scusa, estinguere un debito – è più faticoso che andare avanti. Per Geremia Dio è vasaio: in materia, avanzo la preferenza per il Dio-calzolaio. Ambedue mestieri di risarcimento.
Di ritorno sui propri passi. «La fede che più amo è la speranza» scrisse Péguy. Cosa sia la speranza, me l’ha insegnato la penna delicata di Benedetto XVI: è la capacità di dialogare con il futuro, avvicinandosi pian-piano. Quale fosse il suo volto era l’altro grande cruccio: “Mostrami che faccia hai!” le dicevo. Un giorno ho incontrato il signor-Bruno Vallefuoco: vent’anni fa gli hanno ucciso il figlio. Oggi fa il possibile perché quella morte possa diventare vita: temo d’aver trovato una possibile risposta alla mia ricerca del volto della speranza. Scrive Simone Weil: «Chiedergli di rimettere i nostri debiti significa domandargli di distruggere il male che è in noi». Distruggere è verbo di sfacelo. Perdonare non è cercare una scusa all’offesa, né dimenticare chi ci ha offeso. È molto di più: è perdonare ciò che non riuscirò a dimenticare. Dio l’ha già fatto con noi. Nessun baratto nel Padre nostro: “Perdonami, così io perdonerò”. Solo un promemoria: “Aiutami a ricordare le volte che son stato perdonato. Ho un debito di restituzione”.
Abbiamo iniziato dicendo: “Siamo pieni di debiti”. La conclusione è identica, con una piccola aggiunta: “Pieni di debiti. Con Dio”. Non ci resta che chiederGli un’occasione propizia per la restituzione. Don Primo Mazzolari era convinto che «tutti si gode quando altri godono».
È sempre stato il più gigante dei sogni di Dio.
{youtube}_f-TTlNIX8M{/youtube}