Nella prima parte del Padre nostro l’interesse è tutto a Dio: «Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà». Nella seconda, che iniziamo questa sera, al centro c’è il nostro bene: pane, perdono, difesa, liberazione. Due “tavole”: il compimento di Dio di fronte all’uomo, quello dell’uomo di fronte a Dio. E’ il tema del pane a spalancare la seconda parte: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». «Dacci» è forma imperativa: dice il lavoro, anche il dono. «Pane nostro»: se io ho il pane, che anche mio fratello ce l’abbia. «Quotidiano», è vietato l’accumulo: è necessario fare ogni giorno nuova richiesta. Pane-fresco ogni primo mattino.
Del pane ne parleremo con Diego, uno degli agricoltori di Castelluccio di Norcia. Qui, il terremoto è stato una brutta bestia: ha ringhiato, ferito. La stalla di Diego, però, è sempre rimasta aperta. È una storia di pane, latte e lenticchie: quelle di Castelluccio di Norcia, per l’appunto. Il pane-quotidiano di Diego. La notte prima di arrivare a Castelluccio di Norcia, avevo letto una frase di Carlo Petrini, il papà di Slow-Food e di Terra Madre: «Quando chiude una stalla non è come quando chiude una discoteca. Quando chiude una stalla un intero territorio si disconnette, si svuota di saperi, di ritmi. L’agricoltura è un tessuto fitto: se si fa un buco, si strappano tantissimi fili». Storie di pastorizia e di pesca: il pescatore sa che il mare è fatale: lui getterà-la-rete, la corrente la riempirà, se vorrà. Il mare è imprevisto, ma – diceva van Gogh – «i pescatori non hanno mai trovato questi pericoli ragione sufficiente per restare a riva». Pastori e pescatori, dalla montagna all’acqua. Ad Orbetello, acque di laguna, ogni notte Sergio esce a pescare: pane-quotidiano sono i pesci.
Pani-e-pesci: ricordo come andò a finire!
«Oggi viviamo una situazione schizofrenica: non si è mai parlato così tanto di cibo, anche in tv, e la situazione nelle nostre campagne è drammatica. Penso che è giunto il momento di concepire la cultura del cibo a 360 gradi, non solo negli spadellamenti. Dico di più: se noi ci concentriamo solo sugli spadellamenti, rischia di diventare pornografia alimentare. Noi dobbiamo avere a cuore il benessere della terra, il benessere dei contadini, la socialità delle persone, il fatto che il diritto al cibo è un diritto di tutti, non solo di chi ha i soldi. Il diritto al buon cibo non può essere un diritto riservato a chi ha i soldi e gli altri devono mangiare prodotti scadenti. Questo non è logico, e non è giusto» (Carlo Petrini)
Nelle comunità fondate dall’Abbè Pierre, prima di mangiare si prega così: «Signore, aiutaci a cercare il pane per coloro che hanno fame e cercare la fame per coloro che hanno il pane». È chiaro: il pane senza la fame è spreco. La fame senza il pane è dannazione, miseria. Per questo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano».
A casa nostra s’inizia a mangiare «Nel nome del Padre». Da bambino notavo il nonno baciare il pane caduto a terra. La nonna si scocciava quando tiravamo molliche: “Non si gioca col pane!” In terra, siamo tutti ospiti e viandanti: sembriamo fermi, ma stiamo facendo un viaggio spettacolare, tappe-brevi. Avere-pane è garanzia di buona riuscita. È frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Lo presentiamo a te, Signore. Fa’ che diventi per noi cibo di vita eterna.
Acqua, aria terra, fuoco. Più il pane: anch’esso è cosa primaria.
{youtube}4NGrrDJ1AD8{/youtube}