Debiti

Si era indebitato in una misura pari a “fin-sopra-i-capelli”: cioè «gli doveva diecimila talenti», praticamente il debito di un’intera città popolata. Chiedo di portare pazienza: nell’agire di Cristo non c’è amore senza esagerazione. Messo al muro dagli strozzini, o chi per loro, quel servo è nel panico completo: non gli rimane che supplicare la clemenza del padrone. La qual cosa, leggete bene, mica avviene: “Sia venduto lui, tutta la sua famiglia!” Ritenta: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa». Ciò che chiede è un piano-di-rientro, ciò che ottiene non lo poteva nemmeno immaginare: il debito è stato condonato con un colpo di misericordia, non di spugna. Quando Dio risponde, all’uomo pentito, la risposta è sempre eccedente, fuori-misura, causa iradiddìo di stupore. Il servo ha promesso che pagherà: la colpa è stata chiamata per nome, la confessione è sincera, Dio è già felice. Non potrebbe fare altrimenti Dio: quando mai l’uomo è in grado di pareggiare l’agire di Dio? Professo, in maniera ostinata, la mia fede anche nell’altra faccia della faccenda: in quell’attimo, sentitosi perdonato, il servo avverte il da farsi, l’esser simile al padrone in emergenza-altrui. Tutto chiaro.
Tutto-scuro: «Appena uscito». È complemento d’oscurità-immediata. Non quattro ore dopo, una settimana, qualche mese. Il Vangelo, quando accelera, firma degli strapazzi temporali. All’istante, il servo-perdonato ha l’occasione di fare quello che aveva promesso, nulla di più: restituire il debito. In una forma tutta nuova: non più al suo vecchio padrone, ma rimettendolo in gioco dentro la sua città. Come a chi, indebitatosi o trovatosi in una situazione di fallimento, gli viene detto: “I soldi che mi devi, versali nel conto di quest’associazione”. Non servono al padrone quei soldi, li ridia a chi ne ha veramente bisogno. Ridarli si deve, l’amnistia è cosa umana, per nulla al mondo evangelica. È quel poco che ci si attenderebbe da uno graziato. Che, invece, torna dis-graziato, perdendo la grazia che l’aveva liberato: «Restituisci quello che devi! (…) Abbi pazienza con me e ti restituirò. Ma egli non volle». Com’è possibile, all’uomo che è stato perdonato, non riuscire nel perdono? Capita anche questo nelle città di quaggiù e Cristo, profondo conoscitore dell’uomo, lo sa bene: gioca d’anticipo con una di quelle storielle che ti cùciono addosso il sospetto dei sospetti: “È di me, per caso, che sta parlando?” La folla che assiste alla scena è imbarazzata: aveva assistito anche all’antefatto. Senza quello, badate bene, quel servo aveva tutte le sue ragioni per vedersi restituire i soldi prestati. La cosa-seria è l’accaduto degli inizi: è stato perdonato, il debito-condonato. L’accensione dell’imbarazzo: «Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti. Andarono a riferire al padrone tutto l’accaduto». Han fatto le spie, penseranno in tanti. Per Dio non esistono spie e investigatori, guardie e ladri, sospetti e credenze: il fatto serio è che ognuno è responsabile del fratello. Di quello peccatore, com’è ovvio: di quello perdonato, com’è meno-ovvio. Che divenga testimone del perdono.
Tutto-chiaro. Tutto-scuro. Tutto-da-rifare: «Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto». Perdonato della prima mancanza, circa la seconda Dio quasi s’imbufalisce: nessuno giochi mai con l’amore. Tutto sarà perdonato, eccetto il peccato contro l’Amore: «Io ti ho condonato tutto il debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?». Che, in parole povere, è roba logica: ti ho perdonato, tu non l’hai fatto con il tuo debitore? In materia di grazia-ricevuta – sempre grazia non meritata, da restituire – Dio ha una memoria da elefante. Per questo, prima che i discepoli s’azzuffino contro quel servo malvagio, li anticipa: «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». Togliete, alla storia, l’antefatto: tutto fila liscio. A fare la differenza è quell’antefatto. Sarà sempre quello: l’assoluzione c’è o non c’è. Resta insoluto il dopo: perdonato-da-Dio, che ne sarà di me? Nessuno tema: non c’è obbligo!
Semplicemente Dio, con me, si comporta così.

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (Matteo 18,21-35).

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