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1 Non giudicate, per non essere giudicati; 2 perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. 3 Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? 4 O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave? 5 Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello (Mt 7,1-5)

A partire da questo brano evangelico, è nata la tendenza – quasi una moda, ormai – di premettere, scrupolosamente, prima di esprimere qualsivoglia parere: «Non che io voglia giudicare, però…». E, immancabilmente, il giudizio, comunque, finisce per esserci.
Il problema, in realtà, sta probabilmente nella confusione tutt’ora esistente tra il giudizio e la valutazione. La valutazione è necessaria nella vita morale dell’uomo o – più in generale – nella vita dell’uomo. La nostra esistenza, infatti, si dipana sulla base delle scelte che noi compiamo in modo sistematico e quotidiano: da quelle più semplici ed organizzative (dove andare a divertirci o cosa mangiare) a quelle che possono modificare anche in modo sostanziale la nostra vita (l’indirizzo di studi, la ricerca o il cambio di lavoro, l’inizio di un progetto di vita con un’altra persona). Per effettuare una scelta, è necessario anteporle una valutazione: essa va messa in paragone con altre scelte possibili, così da poter comprendere quale sia l’opzione migliore. Non sempre si tratta della migliore in assoluto: lo è però sulla base dei criteri valutativi che mi sono imposto (che sono, poi, quelli a cui ho scelto liberamente di aderire, dopo l’educazione primaria, avvenuta in famiglia e successivamente a scuola). Proprio per tale motivo, una valutazione non solo è opportuna, ma è assolutamente necessaria, perché altrimenti non è possibile scegliere e – in ultima analisi – vivere, dal momento che la vita è tutta un concatenarsi di scelte, contemporaneamente, positive (mi impegno in una direzione) e negative (avendo scelto una certa direzione, dovrò rinunciare – per forza di cose – a qualcos’altro, perché i giorni della settimana sono 7 e le ore del giorno solo 24).
Vivendo, poi, in un contesto sociale (nessun uomo, nemmeno un eremita, vive completamente staccato dal mondo), è poi inevitabile confrontarsi con le scelte altrui, che possono essere viste in modo positivo, oppure negativo. Il confronto non è, in sé, sbagliato, né foriero di malignità. Siamo una comunità di persone e questo è un aspetto positivo, perché ci consente di apprendere gli uni dagli altri, imparando il bene da chi esprime atteggiamenti degni d’imitazione e imparando invece a rifuggire i mali esempi offerti da chi opera iniquità. Nel computo complessivo, forse, sono quasi più utili questi ultimi, proprio perché se, guardando, come in uno specchio, un atteggiamento altrui che mi repelle, posso essere aiutato a comprendere il male che manifesta ed è bene sia evitato.
Vi è poi un terzo tipo (oltre al giudizio ed alla valutazione), forse il più insidioso: il pregiudizio, da cui discende anche il giudizio affrettato. Il pregiudizio, il più delle volte, deriva da uno stigma – sociale o nazionale – che si sceglie di estendere a chiunque faccia parte della categoria. Ad esempio, si può ritenere i napoletani degli scansafatiche e, sulla base di tale pregiudizio, privilegiare altri lavoratori, nella scelta di un’assunzione lavorativa. Il giudizio affrettato è invece un po’ più sottile: è quello emesso a seguito della prima impressione, che, talvolta, si aggrappa così pervicacemente nel nostro cervello, che non riusciamo a rinunciarvi, nonostante i dati oggettivi dovrebbero spingerci ad avere il coraggio di adeguare il nostro pensiero alla realtà fattuale.

Ecco quindi lo snodo che ci fa giungere al discrimine tra il giudizio lecito (cioè necessario alla nostra personale valutazione) e quello illecito (volto a ferire e prevaricare, per lo più, basandosi su elementi non agganciati alla realtà). Esprimere valutazioni è utile innanzitutto per sé, perché aiuta ad indirizzarsi nel percorso migliore, ma anche per gli altri, perché, di fronte al Male, avvertire del pericolo diventa un dovere, una volta che lo si è visto.
Sembra un distinguo capzioso, è invece un discernimento fondamentale: contro il Male, il cristiano è chiamato ad essere implacabile, ma nei confronti di chi lo compie, è chiamato ad attingere alla Misericordia di Dio, in quanto consapevole di appartenere alla stessa fragilità di chi lo ha compiuto ed esservi “esposto” quanto lui. 
Perché dovrebbe essere sbagliato giudicare, inteso come esprimere un giudizio negativo, di condanna, nei confronti di qualcuno, in particolar modo con lo scopo di “metterlo alla berlina” davanti a tutti?

[11]Non sparlate gli uni degli altri, fratelli. Chi sparla del fratello o giudica il fratello, parla contro la legge e giudica la legge. E se tu giudichi la legge non sei più uno che osserva la legge, ma uno che la giudica. [12]Ora, uno solo è legislatore e giudice, Colui che può salvare e rovinare; ma chi sei tu che ti fai giudice del tuo prossimo?
(Gc 4,11-12)

Alla luce di questo cristallino brano dell’apostolo Giacomo, è chiaro perché un vizio, all’apparenza innocuo, come quello di spettegolare degli altri, ha – in realtà – una radice molto pericolosa, al proprio interno: sostituirsi a Dio, dimenticandoci che siamo tutti fratelli di un unico Padre. È evidente il richiamo al primo peccato (originale), così come l’invito, implicito, ad essere – piuttosto – di aiuto gli uni per gli altri, verso la comune meta di un’umanità migliore, per iniziare a costruire il Paradiso. Quaggiù.


Fonte immagine: https://www.networkworld.com/article/3172590/ios/iphone-8-rumor-rollup-thrown-for-a-curve-glass-crack-clues-3d-sensing.html

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