Le previsioni – verrebbe da dire – servono per venire poi smentite. Come i proverbi, gli scoop, le analisi di mercato, i sondaggi in vista delle elezioni, anche dei ballottaggi. Capita, puntualmente, con l’esame di maturità. Ventiquattr’ore prima c’è sempre un autore che è dato per certo: lo vorrebbe la statistica, il suo riflettere si lega a dei fatti di cronaca attuale, la sua presenza s’avverte ovunque tra le sudate carte degli appunti. Poi, a buste aperte, ad apparire presenza fedele è sempre la sorpresa. Quest’anno è toccato a Giorgio Caproni (1912-1990) e, com’è facile immaginare, è capitato che quando li pensi sconfitti loro scattano in contropiede, rovesciandoti la partita. “Caproni? Chi era costui?” sarà stato il primo pensiero di chi ha dovuto riflettere e riflettersi in una poesia – «Versicoli quasi ecologici» (contenuta nell’opera uscita postuma “Res amissa”) – che, sinceramente, pochi immaginavano esistesse nel Novecento italiano.
L’illusione, che si è soliti soprannominare speranza, è d’imbattersi nel testo di un autore noto, di uno che si ha almeno avuto l’occasione di incontrare durante gli anni delle scuole superiori. L’esame in questione, però, è chiamato esame-di-maturità dove, per maturità, si presuppone la capacità di stare-in-piedi sopra le onde di ciò che ti si pone innanzi: negli anni delle superiori i professori, ognuno dal suo punto-panoramico, hanno tentato di costruire un armatura su misura per gli studenti. Hanno offerto loro gli strumenti migliori, hanno insegnato a fare-analisi, han tentato a più non posso di accendere la passione nell’animo degli alunni. L’hanno fatto attraverso i testi di Seneca e di Omero, scervellando gli animi sui calcoli di Pitagora e di Talete, vivisezionando le leggi che regolano la natura, il mondo. Con l’analisi, la sintesi, la comparazione, la parafrasi, la narrazione, la scrittura. L’esame-di-maturità è, dunque, la prima prova per vedere se tutto ciò si è messo in moto: quale occasione migliore, dunque, d’imbattersi in un testo mai letto prima, nelle parole di un autore che nemmeno s’immaginava fosse esistito, nella riflessione di un uomo per noi foresto? Finché si battono terre conosciute, la geografia rimarrà limitata: anche a frequentare le solite-persone si corre il rischio di addormentare l’amicizia. Essere condannati all’effetto-sorpresa – il giorno dell’esame di maturità – è quasi l’annunciazione di cosa apparirà quando la vita svelerà a noi il suo volto: per imparare a vivere – per esistere, invece, non serve – non si prevedono periodi di addestramento. È lo sbaraglio la terra nella quale diventeremo uomini, falliremo come uomini. Calcolare l’effetto-sorpresa è calcolare l’x-factor per non farsi travolgere.
Giuditta, quinta liceo classico, l’altro giorno mi ha chiesto del tempo perché facessi con lei l’analisi di un testo, a mo’ d’allenamento. Ha proposto, come terreno di sfida, la sua poesia preferita: «San Martino» del Carducci. Bastian contrario, l’ho costretta ad una delle mie preferite, di Mario Luzi: «Di che è mancanza questa mancanza». Mi ha guardato stranita: “Non l’ho mai letta, non so neanche di cosa parli”. A fare l’analisi di testi conosciuti sono capaci in tanti: addentrarsi, armati delle conoscenze conquistate, in testi sconosciuti è arte di avventuriere, esplorativa. Si è divertita: allenandoci, ci siamo divertiti. E quella poesia da sconosciuta le è diventata familiare, materia intima. La cosa buffa è stata la sua sintesi: “Quando non conosci un testo, ti sembra quasi che la sfida di comprenderlo sia più bella rispetto a quando lo hai già letto”. Il giorno dopo – nessuno di noi lo poteva immaginare – è apparso un testo-a-sorpresa. Lei l’ha scelto: ha fatto di Giorgio Caproni il suo esaminatore. Per sei ore è stata china su quei versicoli-quasi-ecologici per scrutarne la provenienza, la direzione, la nostalgia. La natura, l’uomo. Per me Giuditta si è già rivelata una ragazza matura.
(da Il Mattino di Padova, 25 giugno 2017)