salumi

L’attendo trepidante ogni anno questa settimana. Il popolo, quello fedele al Cristo dei Vangeli, le attribuisce l’appellativo onorifico di settimana-santa: dopo quei tre giorni tutti ebraici, il mondo non è più stato lo stesso di prima. È questa la stoltezza, anche lo scandalo, che vanno professando i cristiani. La chiamano “santa” eppure, a leggerla bene, di santità sembrano non parlare affatto i luoghi che le fanno da palcoscenico, le gesta degli attori-protagonisti, le insinuazioni di chi non potrà mai credere che un Uomo da solo possa ribaltare un’intera città mettendo la mano al vecchio arnese della speranza. È la settimana nella quale s’incrocia la vita-intera, quasi che le sue giornate siano state prese in-affitto per dare appuntamento a questo gigantesco festival dell’umano. C’è la natura: galli, asini e terremoti. C’è la topografia: Gerusalemme, coi suoi mille vicoli scoscesi, dannati e mistici. C’è la politica del tempo, quella laica, quella profana: sinedrio, tempio, sinagoga, la Legge e la Torah. Ci sono gli uomini, che da quando esiste il mondo sono sempre quelli che fanno la differenza, quelli che potrebbero farla e decidono, a volte, di non farla: c’è Ponzio Pilato, c’è Simone di Cirene, c’è la vecchia serva pettegola attorno al fuoco. C’è la folla e il singolo, c’è la famiglia.
C’è anche Cristo, giusto dentro il trambusto confuso di una città drogata di trionfo: le città, quando festeggiano, sono volgari, crudeli. Sarebbe consigliabile non frequentarle in quelle circostanze. Cristo, invece, abita esattamente questa confusione. E dentro questa confusione vuol credere che gli riuscirà l’intento di mostrare come trionfare nel mondo significhi aver perso tutto. Confondendosi in mezzo alla ciurma di Gerusalemme, scelse di non fare patti con nessuno. Già si sapeva che ragionare con la gente imbecille è tempo-perso: prima ti abbassano a loro livello e poi, per l’esperienza che hanno, ti battono dieci a zero. Ancora di più, forse. Fu per questo che Cristo – ch’era venuto al mondo esattamente per quello, per smascherare Lucifero, il padre dell’imbecillità – scelse di usare il meno possibile le parole in quella settimana che, guarda caso, fu la più ciarliera di tutti i Vangeli. «Le parole sono una fonte di malintesi» faceva notare Antoine de Saint-Exupéry al suo piccolo principe. Scelse la grammatica dei gesti: per gli animi grezzi degli amici, un gesto valeva più di grappoli di parole. I piedi lavati, la tavola imbandita, il bacio di un tradimento, il sudore della morte, il grido di chi si sente strozzare l’esistenza. Scelse di non scegliere altro rispetto a quello che aveva scelto negli anni passati: rimase uomo fino alla fine. Raccattò tutto quello che trovava, senza mai disprezzare nulla, per raggiungere il cuore dell’uomo e accenderlo: «L’imprevisto era la sua legge, l’evento è la sua spada» (C. Bobin).
La chiamano settimana-santa. E’ la settimana nella quale imbastiscono la più grande mattanza della storia, la più folle mattità: appendono il loro Dio come se il Golgota fosse un salumificio. È la settimana nella quale Cristo lascia fare tutto ciò che il mondo, cieco di gelosia, sogna di fargli: sputi, saliva, aceto. Botte a dismisura, improperi e menefreghismo. Tutta la mattanza perpetrata in questa settimana la chiamano “Passione di nostro Signore Gesù Cristo”. La chiamano così perché fu uno strazio, un patimento, una tempesta di schiaffi. Pochi, nel mentre pronunciano “passione”, sanno gustare l’altro suo significato, quello più recondito che è sempre quello più succoso: passione come impeto, inclinazione e desiderio, eccitazione, ardente amore. “Hai notato quanta passione ci mette? È un tipo appassionato. Gliela leggi negli occhi la passione”. La chiamano settimana-santa, è stata la settimana-della-bestemmia: Dio ammazzato in nome di Dio. Uno contro tutti, tutti contro Uno. Solo così potrà raccontare come non ci sarà mai bellezza senza disperazione. È passione di Dio, è Dio-appassionato.

(da Il Mattino di Padova, 9 aprile 2017)

 


(immagine tratta da www.labottegadelpaneedelvino.it)

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