Se ne sta acquartierata alle porte di Forlì con le sembianze discrete di una sentinella fedele. E una manciata di fede da serbare con divina gelosia e umana trepidazione. Una piccola chiesa e il suo campanile, il suo oratorio e il suo campetto. La sua gente, quella statale che corre impazzita e il vecchio curato. In una Romagna colorata nell’immaginario di rosso: che non è solo il colore della Divina Passione. Ma anche di umane passioni.
Parrocchia di periferia, gente di periferia, aria di periferia.
Anche nella Scrittura – Vento Prestante sulla frivolezza delle chiacchiere umane – Dio dà lo sparo d’inizio sempre dalla periferia. Maria è “donna di periferia”. Grembo di periferia. Orgoglio della periferia. Maria e tutto quello stuolo silenzioso di donne anonime, di profeti sconosciuti, di poeti convertiti che parlano la lingua di tutti i giorni e non solo quella del sabato, il linguaggio dei bambini e non solo dei rabbini, la lingua di casa e non solo quella di chiesa. Il dialetto del cuore.
C’erano i dromedari di Madian come promessa d’invasione per la bella Gerusalemme, ma c’è pure tutto uno stuolo nascosto che nella Storia Sacra sta giocando. Giocando, da giocare. Il verbo dei bambini, del passatempo, dei pomeriggi appena tornati da scuola. Sotto i lampioni, sulla riva di un ruscello, nell’aria aperta. “E’ così confortante pensare che Dio ti sfiora non solo nelle chiese o nelle sinagoghe, ma nella vita comune, ti sfiora nei giorni di festa come nelle notti di burrasca” (E. Ronchi).
Anche a Dio piace giocare.
Nel catechismo cacciato dalle chiese, forestiero tra i banchi e minacciato di morte dai pulpiti – quello che tanto piaceva al Camillo prete del Giovannino Guareschi – si racconta che il Signore Dio, dopo aver creato la terra, le piante e gli animali, progettò l’uomo e la donna perché sognava di trovare qualcuno che stesse davanti a Lui, capace come Lui di amare. Un giorno disse agli uomini: “La mia gioia sta nel giocare sulla terra con i figli dell’uomo. Volete giocare con me?” Gli uomini risposero in coro: “Si, ma a cosa giochiamo?” “A nascondino” propose Dio. “Che bello!” esclamarono gli uomini. E cominciarono il gioco. A Dio più che cercare piaceva farsi cercare: anche perché quando Lui “stava sotto” riusciva a scoprire e a chiamare tutti per nome in un battibaleno. Così andò a nascondersi e lasciò agli uomini e alle donne l’incarico di cercarlo.
Aspetta, aspetta… non arrivava nessuno.
Dopo parecchio tempo s’accorse che gli uomini si erano dimenticati di Lui ed erano occupati in altre attività. Dio ci rimase male: nessuno andava a trovarlo. Egli era davvero il grande emarginato: voleva farsi trovare, anche perché aveva dei doni da regalare ad ognuno, ma nessuno sembrava interessato di lui. Poiché Dio è fedele, andò lui a cercare gli uomini. Li trovò indaffarati in mille occupazioni (nessuno aveva più tempo), attorniati da una vera e propria montagna di oggetti inutili, nascosti dietro alla moda del momento, pieni di cattiveria dietro i loro simili. Di più! Alcuni si nascosero alla sua vista, pieni di paura, molti si vergognavano di averlo conosciuto.
Altri, addirittura, non sapevano nemmeno della sua esistenza.
Ma Dio non si diede per vinto. Ostinatamente cercò qualcuno che facesse amicizia con Lui. Chiese, cercò, bussò: perché alla fine sapeva di trovare.
Di trovare dove l’uomo aveva già deciso di sbarrare le saracinesche.
Successe anche a Tarso. Capitale della provincia romana della Cilicia Pedia. 10 miglia nell’entroterra, sul fiume Cidno, una storia vecchia di 4000 anni da vantare come credenziale. Cereali, uva e tanto lino. Oltre che il feltro prodotto con la lana delle capre nere. Quella sera la luna iniziava ad arrampicarsi sui tetti, ma una locanda – ormai deserta – rimaneva aperta e trepidante, una mensa frugale stava improvvisata, un parlare sommesso riempiva quel silenzio. Quattro spighe di grano, due fiori di ginestra, un canestro di pane e un persecutore. Fuori un profumo di zagara saliva dagli aranceti e la brezza marina inebriava l’anima di profumi d’Oriente.
Il Giocatore e il giocato. L’Eterno e l’umano. L’Amore e la persecuzione. La Misericordia e l’odio. Più semplicemente: Saulo e Gesù di Nazareth. Impossibile rimanere latitanti quando s’è braccati da Dio. Come sarà impossibile uscire indenni dal combattimento con Lui. Se tu non giochi, gioca Lui. Se non lo cerchi, ti cerca Lui. Corre fino a Tarso, fino alla tua Tarso. Fin dentro casa tua: “è bello pensare che Dio ti sfiora non solo nelle liturgie solenni delle cattedrali, nelle sinagoghe o nelle cappelle, nelle giornate mondiali o nei giorni di ritiro, ma anche – e soprattutto – nella vita comune, nel quotidiano“.
I papiri antichi raccontano di una lotta agghiacciante, di una partita giocata fin oltre i supplementari. Tramandano l’eco di urla, coltelli e silenzi. Parole da Lassù, parole da quaggiù. Parole che scavano, che strapazzano, che tagliano. Che urtano, spingono e rattrappiscono. Che infiammano, tolgono il sonno, schiacciano. Certo che a Tarso s’è combattuto uno dei match più imprevedibili nella storia del “nascondino di Dio”. Ancor oggi sul monitor di quel videogame il livello più avanzato si chiama “livello Tarso”. Cioè: confine con l’insospettato.
Un giorno, tra le viuzze di sullastradadiemmaus.it, ho stretto una mano. Mano rugosa, volto scavato, tante primavere e altrettanti inverni sulle spalle. Teneva l’identità di un vecchio servitore di Dio. Ci sediamo al tavolo e mi racconta della sua chiesa in sobborgo, della sua gente, della faticosa bellezza d’essere prete a settant’anni. Il tempo scorreva veloce. E più fluivano i minuti più il suo volto trascolorava. Avevo davanti agli occhi un vecchio prete di periferia: don Libero Gardelli. La stessa bella vecchiaia di Giovanni, il custode col cappello della nostra parrocchia. Io stavo giocando: con la Scrittura che mi afferrava per il collo, cercavo tracce di falliti là dentro per sentirmi meno solo nella vita. Nella scelta. Nella corsa.
Un certo Saulo mi stava insegnando una tecnica per far fuori facilmente Dio dalla partita. M’appassionava, m’intrigava, mi prendeva. Vidi confusamente sul suo zainetto un graffito stampato di suo pugno: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno” (2Cor 4,7-8). Involontario appassionato, entra in gioco don Libero.
Due dadi, una piantina, un indirizzo.
“Giochiamo assieme” – urla con la sua voce da nonno.
“Non ci stiamo, padre” – ribattiamo in coro io e Saulo.
“Andiamo a Forlì: in oratorio c’è posto per tutti” – calò puntuale il vecchio servitore di Dio. E lanciò i dadi.
Nasce così – dall’intreccio tra una mano giovane, una mano vecchia e una Mano Eterna – “Conversazioni notturne con Paolo di Tarso”, un percorso alla scoperta della “partita a nascondino” giocata millenni fa tra un Uomo sceso dalla periferia della Galilea e uno spietato torturatore uscito dalla periferica Tarso.
Una storia di periferia! Bellissima: come sono belle tutte le storie che nascono nelle periferie. Come sono belli gli amori fuggitivi rubati agli occhi di una zingara. E’ lo “splendore del dimesso” che tanto piaceva all’Heidegger filosofo. E al Von Balthassar teologo. E pure al Creatore Divino.
Partiremo dalla periferia: l’ouverture sarà la storia di una donna beccata nella periferia, stregata laddove l’uomo condanna, colorata negli atelier che resero bella Giuditta, Ester, Raab, Rut ed Elisabetta. Claudia Koll lancerà i dadi e inizierà la partita.
L’appuntamento è ogni secondo venerdì del mese nella parrocchia di Villanova, periferia di Forlì [*]. Custodita dal don Libero parroco. Ci troveremo: pregheremo, ci lasceremo strangolare dalla Parola Eterna, inginocchiare dalla bellezza trasfigurata dell’Uomo della Croce, accendere dall’incredibile storia di Saulo. Divenuto Paolo per uno strano e riconosciuto scherzo dell’Uomo di Nazareth: quello di cambiare i nomi. Poi, a chiesa chiusa, ci ritroveremo nella piazza di Internet, all’indirizzo sullastradadiemmaus.it e condivideremo la nostra fede. Posteremo commenti. Lanceremo dubbi. Accenderemo ribellioni. Costruiremo un laboratorio. Perché “per me – diceva Norberto Bobbio – la differenza non è tra il credente e il non credente, ma tra chi prende sul serio questi problemi e chi non li prende sul serio”.
Strada facendo, ci verranno a trovare amici beccati pure loro sulla via di Damasco. In pieno eccesso di velocità. Gente stracciona, beduini incalliti ri-abbelliti da Dio per colorare l’umanità. Che invece d’essere multati son stati trasformati. Fin nei pensieri: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio” (Rm 12,2).
Quel giorno suonò il campanello in oratorio. E al gioco si pose fine: mi piacerebbe anticipartela quella fine. Ma Paolo non me lo perdonerebbe: perché la Scrittura va gustata metro dopo metro, silenzio dopo silenzio, caduta dopo caduta. E’ come un nocciolo d’oliva, ci ricorda il muratore Erri de Luca. Un nocciolo d’oliva da rigirare in bocca. Leggere le Scritture è questo: inaugurare il tuo risveglio con un pugno di versi, così che il giorno pigli un filo d’inizio. Al mattino, a testa vuota, accogli quelle parole sacre. Capirle non è afferrarle, ma essere raggiunto da loro, lasciarti agitare da loro. Così diventerai ospite a casa delle parole della Scrittura Sacra. Nel giorno puoi sbandare dietro alle minuzie del da farsi, ma hai trattenuto per te una caparra di parole dure, un nocciolo d’oliva da rigirare in bocca.
Entra che giochiamo. Più siamo più s’incasina la partita. Più Dio si diverte.
Io t’aspetto. Egli t’aspetta. Noi t’aspettiamo.
Non è la declinazione del verbo aspettare. E’ un invito innamorato!
Ti prenderanno in giro?
“L’uomo è irragionevole, illogico, egocentrico.
Non importa, amalo.
Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici:
non importa, fa’ il bene.
Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici:
non importa, realizzali.
Il bene che fai verrà domani dimenticato:
non importa, fa’ il bene.
L’onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile:
non importa, sii franco e onesto.
Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo:
non importa, costruisci.
Se aiuti la gente, se ne risentirà:
non importa, aiutala.
Da’ al mondo il meglio di te, e ti prenderanno a calci:
non importa, da’ il meglio di te“
(Madre Teresa di Calcutta)
[*] Parrocchia di Villanova – Forlì
Viale Bologna n. 332
Tel. 0543.754174
Sito Internet: http://www.parrocchiavillanova.net/