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Giuda capì fischi per fiaschi. Il Maestro svelò una faccenda sovrumana, forse approfittando di quella fessura apertasi nel cuore del pescatore: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Infuriò una tempesta di superlativi, di abbracci e di congratulazioni. Di rimbrotti e di segreti imposti. Finì come finirono tante altre sere delle loro, con l’adombrarsi d’una confidenza: «Qual vantaggio, infatti, avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?» (Mt 16,26). Questo disse Lui, l’amico-nazareno. Quello che capì l’altro, l’Iscariota, è cosa che si spiegherà all’indomani della sua viltà: “A che scopo guadagnare la propria anima se poi si perde il mondo intero?” Un’inversione dei termini, anche qualcosa di più: una resistenza, una riluttanza, un’ostinazione. Un sospetto, che Satana avesse ragione: “Ti pare affidabile un Dio così, amico Giuda? Non senti come ragiona. Esattamente al contrario di come ragioniamo quaggiù”. Esatto.
Cristo ha fiuto felino: non è solo Giuda a pensare così, c’è della resistenza in qualche altro cuore. La devastazione di Satana – sotterranea, silente, funesta – va arginata. Dodici, però, sono troppi da portare lassù: la confidenza che ha in cuore di fare, è roba per palati-sopraffini, per numeri piccoli. Di dodici ne prende tre: «Pietro, Giacomo e Giovanni» (Mt 17,1-9). Li mena su per il monte: se li tira appresso col loro dubbio addosso: avrà ragione Lui o l’altro? L’altro, quel puffo di Lucifero, dispensa superlativi a destra e a manca: promette ciò che sa di non poter poi mantenere. Abbindola, l’abbindolatore. L’Altro, l’Ecce homo, promette molto più: gli amici hanno fiutato al volo la portata. A confonderli è la differenza di tempo. Satana paga-cash immediato, gli affari-di-Cristo sono investimenti a lungo termine. Lo disse di sé, per dirlo di tutti coloro che gli correranno dietro, che non s’illudano ai facili guadagni: «Doveva andare a Gerusalemme, soffrire molto, venire ucciso, risuscitare il terzo giorno». Il dubbio vasto come il mare: a quale dei due dar retta? Lo sciolse così il dubbio, l’Amico-Cristo: li dis-trasse da lui, li trasse a Sé. Poi fece il resto, il massimo che poté: «Fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce». Si fece di luce, diventò luce: accese la luce. Paolo, all’amico Timoteo, un giorno scrisse ciò che pure lui visse sulla pelle: «(Gesù) ha fatto risplendere la vita» (2Tm 1,10). Ha acceso la luce, illuminato il quotidiano vivere, rassicurato i cuori perché avvertissero che era tutto vero ciò che prometteva, testimoniando. Lassù è come se per un istante avesse aperto la finestra sull’eternità e avesse permesso ai tre di sporgersi sull’abisso, per gustarsi un assaggio dell’Eterno, un anticipo della promessa. Lucifero, sulle sue menzogne, appende una scritta: “Vietato sporgersi”, s’accorgerebbero ch’è tutta una truffa. Cristo invita i tre, sul Tabor, a fare l’opposto: “Sporgetevi, guardate dentro”. Ciò che s’annuncia è un’eccedenza: «Signore, è bello per noi essere qui». Vogliono piantare la tenda per continuare a guardare quello spettacolo: la promessa mutata in realtà.
Torneranno giù, invece: costretti, mica di loro iniziativa. Lassù li ha portati non perché i-più-santi. Li ha voluti perché, tornati a valle, accendessero la luce nella storia degli altri nove. Facessero brillare – nel senso bellico del termine – quella vecchia diavoleria che Satana cuce nel cuore: “Di quel Dio bugiardo, non c’è da fidarsi, fratelli”. Loro l’avrebbero disinnescata: “Lassù abbiamo veduto ciò che sarà. E’ tutto vero!” Non basterà nemmeno questa assicurazione: «Sorde dispute gelose scoppiavano, sopratutto quando il gruppo si trovava un po’ discosto dal Maestro» (F. Mauriac). Che Gl’importa? Risponderà dritto ogni qual volta Satana si metterà di traverso. Chi, nel frattempo, deciderà di stargli fedele, apprezzerà di Lui la schiena-diritta, l’affidabilità della promessa: di un Uomo che non nasconde il male di vivere, ma dentro il vivere accende la luce per mostrare dov’è insabbiata la Bellezza, pare valga la pena di fidarsi. Affidarsi, confidarsi.

(da Il Sussidiario, 11 marzo 2017)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti» (Mt 17,1-9).

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