QuartaCopertina
È una delle prime parole che hanno catturato la mia curiosità. La udivo di domenica-sera: «Quanto ha bevuto?» chiedeva la mamma. La nonna, sempre capace di misurazioni precise, mi confondeva: «L‘iradiddio». Che misura è – rimuginavo tra me – l’iradiddìo? La stessa che, sornione, ho raccolto davanti ad una boutique del centro città. Divergenze d’amanti: «Guarda che vestito! Me lo compri?» tenta l’amata all’amante. La replica: «Hai visto quanto costa?» (no) «L’iradiddìo». Identica curiosità: quanto è l’iradiddìo? Altri, poi, facevano leva su un’espressione simile: “L’ira-di-Dio”. Per l’udito la pronuncia era quasi uguale. A guardarla scritta era di tutt’altra fattezza: la prima diceva rabbia, fulmini, bave alla bocca. La seconda si avvicinava di più ad un qualcosa che, per bellezza, è devastante. Inimmaginabile, impossibile da arginare: ambizioso, paradossale, dissacrante e profondo. 
Tra osteria e boutique, quella misura mi stregò il cuore.
Di Cristo, dei suoi misteri, a casa non ne ho mai sentito parlare. La vita è una faccenda scarna fatta di bucato, orto e officina. Con divagazioni su giardini e bricolage. Non ricordo nemmeno la prima volta che ho sentito la parola “Dio” pronunciata in maniera non-vana: se c’è stata – e c’è stata – non è stata certo a casa. Dove, però, gli uomini aravano l’orto fischiettando, le donne stendevano il bucato come andassero a far festa, le solite-cose erano fatte nell’amore: «Non parlare di Dio a chi non te lo chiede. Ma vivi in modo tale che, prima o poi, te lo chieda» (F. di Sales). M’accorsi, anni dopo, di essere andato a catechismo nella lavanderia di casa più che in parrocchia, seduto nell’officina di papà piuttosto che all’oratorio, nell’orto prima ancora che in chiesa: “Continuate a parlarmi di Dio senza parlarmene”, dicevo loro senza dirlo affatto. Il caso-serio di Dio non è mai stato, per me, una faccenda di testa. L’ho sempre percepito come un fatto di cuore: gusto, ferita, sapore, intrecci. Quello che l’uomo d’oggi cerca: un Dio al quale importi qualcosa della mia piccola storia. Certe volte, troppe, dal pulpito s’annuncia l’inaudito: “Dio è amore”. Poi si scappa come ladri al momento-clou: “In concreto, che significa?” Che Gesù sia Figlio-di-Dio non è una faccenda che incuriosisca, nemmeno che divida le folle. A sconcertare l’umano, ancora oggi, è che Gesù di Nazareth fosse veramente uomo. Credere che sia stato un uomo proprio come me: a levigare i legni di bottega, a radersi la barba, a fare muscoli. Veramente-uomo. Nacque che era perfettamente Dio: uomo lo divenne a caro prezzo. Accendendo la sua umanità: passione, intuito, sentimenti. Uomo-Dio.
“Difficile arginare uno così?” avranno pensato un giorno certi preti. Così, bestemmiandolo, gli hanno strappato di dosso la sua bella umanità. Fino a farlo apparire un’opera di fantasia, come i Flintstones, Snoopy, Braccobaldo: “Non si muove foglia che Dio non voglia. Se non lo preghi non t’aiuta. Non vorrai dare un dispiacere a Dio, vero?” La più insulsa: “Ci penserà Dio a punirti!” Il Cielo è imbarazzato: cosa gioverà, all’uomo, credere in un Dio così? Accantoniamolo: l’uomo tende ad essere felice. Anche Dio, scommettendo sull’uomo, s’affatica nella stessa avventura: “Sono qui apposta per te. Hai sbagliato tu? Pagherò io”. Un Dio generatore d’imbarazzo: l’Amore che, torcia in mano, perlustra i paesi per capire se c’è qualcuno al quale interessi: “Tu m’interessi. Io t’interesso?” Senza l’amore l’uomo arranca, senza l’uomo Dio è solo. Per questo s’apposta, staziona in agguato: gioca di sorpresa, appare d’improvviso. A volte, d’un tratto, sparisce: “Mi hai abbandonato!” lo sgrido. Quando ritorna – giacché certi amori non finiscono mai -, capisco che s’era nascosto per vedere quanto mancasse al mio cuore: l’assenza è forma di presenza-più-ardita. È da brividi la sua gelosia.
Dio-furbo: nascosto nelle storie più luride, decomposte, fratturate. Sta là, imboscato, in attesa d’essere cercato: per ritrovarmi, farmi ritrovare. Dopo anni, vado ancora a catechesi in lavanderia, nell’officina, in galera. Laddove nessuno mi parla di Dio. Ho la necessità d’incrociarlo all’opera, chiedergli quanto costi amare l’uomo così. Probabilmente «l’iradiddìo». È imbarazzante, Dio d’agguati.

(da Il Mattino di Padova, 5 marzo 2017)

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