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Nell’inferno della Shoah, non sono mancati i fiori di Bene, come forse vuole ricordarci, con una simbologia fortemente coinvolgente, il Giardino dei Giusti di Yad Vashem. In seguito al male perpetrato nei confronti di milioni di persone (non solo ebrei, ma anche tedeschi che non erano conformi agli standard, secondo le nuove teorie che, all’epoca, partite dagli USA, hanno trovato terreno fertile ed efficace applicazione nella Germania di Hitler), ora crescono e fioriscono migliaia di alberi, segno di speranza e fiducia nell’umanità. A sottolineare che, persino nell’inferno più profondo, perfino nel buio più cupo, resta sempre possibile un barlume di speranza, che riesca a condurci al di là del dramma contingente.
Pensiamo, uno tra i tanti, ma sicuramente non il solo, alla storia di Schindler, magnificamente raccontata nel capolavoro di Spielberg, Schindler’s List: è morale comprare un uomo? Non lo è, ma lui ha fatto del Bene, anche se il mezzo era immorale, perché era l’unico possibile, in quella situazione, per salvare delle vite.
È giusto incoraggiare la corruzione? Verrebbe da dire di no, ma se Schindler non avesse approfittato della corruzione dei gerarchi nazisti, probabilmente non avrebbe potuto salvare alcuna vita (o, quanto meno, non avrebbe avuto il tempo sufficiente per salvarne quante ne ha effettivamente salvate).
“Chi salva una vita, salva il mondo intero” afferma un detto ebraico (inciso su un anello che gli ebrei, salvati da Schindler, gli regalano, nella versione cinematografica) e, se ci pensiamo, è vero, perché, ad esempio, le persone salvate da Schindler non furono solo un migliaio, ma molti di più (si stima che i discenti degli ebrei di Schindler siano circa 6000).

Lo stesso successe per l’abolizione della schiavitù: i primi ad accorgersi che era sbagliata, anche se legale, se ne avevano le disponibilità economiche, il più delle volte, compravano schiavi per poi dare loro la libertà: era questa, infatti, compatibilmente con le leggi in vigore, l’unica modalità per renderli liberi. Era necessario , anche se non era giusto, spadroneggiare un’ultima volta su di loro, concedendo loro la grazia della libertà come magnanima concessione patronale e non come inalienabile diritto da garantire ad ogni uomo ed ogni donna, sin dagli albori della propria esistenza, per poter garantire loro la libertà..
Del resto, anche diversi santi cattolici, i primi che mi vengono alla mente sono ad esempio S. Giovanni di Dio o S. Teresa di Calcutta, molto spesso non si curarono particolarmente della provenienza dei soldi che ricevevano ma, tramite studiate conoscenze tra i più abbienti, riuscirono, non senza l’aiuto della Provvidenza, a realizzare grandiose opere per i poveri ed i malati che essi assistevano.
In più punti del Vangelo, i discepoli chiedono in ogni modo di poter avere una sorta di “nuovo Decalogo”, leggi precise a cui rifarsi, un codice morale che possa chiarire al cristiano cosa fare (o non fare) in ogni circostanza della propria vita. In realtà, sostanzialmente, questo non avviene: se, da una parte, Cristo conferma la Legge, dall’altra insiste nel sostenere che il vero amore è amare senza misura (basti pensare il “70 volte 7” riferito a Pietro – Mt 18, 22 – a riguardo del perdono, che, per ogni ebreo che conosce la kabbalah ebraica, è un chiarissimo riferimento al perdono sempre, nei confronti di un fratello che compie un torto nei suoi confronti).
Per questo, più degli sporadici riferimenti a qualche prescrizione morale, spesso piuttosto velleitaria (non ci sono, ad esempio, tracce di prescrizioni alimentari; anzi, in At 11, 7, l’invito è a non fare più alcuna suddivisione tra animali mondi ed immondi, com’era usanza tra gli Ebrei e motivo di scontro con i Gentili). Ecco perché, forse, più di altre espressioni sulla moralità degli atti, la Parola – guida potrebbe essere: «Li riconoscerete dai frutti» (Mt 7,20). Lungi dall’essere un semplicistico “il fine giustifica i mezzi”, è pero evidente la possibilità di estenderne il senso oltre al contesto specifico in cui tale affermazione è fatta: il riferimento è quello a falsi profeti, che, attualizzato, potrebbe essere visto sostanzialmente come un monito nei confronti del “carisma”, secondo l’accezione attuale del termine (la capacità di catturare l’attenzione e godere di autorità, prestigio e fascino, all’interno di un gruppo). Non si tratta di demonizzare questa caratteristica che, anzi, ha del positivo, ma di stare attenti a non assolutizzarla, perché, in realtà, può portare al Bene oppure al Male e la distinzione avviene appunto in base ai risultati. Se il carisma è utilizzato in modo positivo, ottiene il risultato di creare unione e coesione, al contrario se provoca scissione oppure culto della persona, anziché schietta collaborazione per un progetto comune, i dubbi è bene che inizino a sorgere, prima che sia troppo tardi.
Ci sono situazioni che vanno al di là delle semplici norme morali, come accade di fronte alle emergenze: non c’è il tempo per poter ottenere un’azione giusta secondo mezzi giusti. In quei casi, allora, l’amore vince la giustizia e, di fronte ad una vita da salvare, è necessario correre il rischio di non seguire la legalità. Anche perché, va ricordato, il Catechismo stesso della Chiesa sottolinea che un cristiano è tenuto a rispettare ed obbedire all’autorità, ma «il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell’ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo» (CCC 2242).
Sulla base di ciò, quindi è evidente che seguire Cristo ci chiede ben oltre l’essere «brave persone»: implica la possibilità che ci possa essere richiesto l’atto di insubordinazione, a volte eroico di «obbedire a Dio piuttosto che agli uomini».


Ne approfitto per consigliare la visione di “Nebbia in agosto”, in questi giorni nelle sale cinematografiche, in occasione della Giornata della Memoria, che evidenzia un aspetto forse meno noto della strage nazista, cioè quello dei malati. In particolare, protagonista della storia è Ernst Lossa, un tedesco di origini zingare, che forse qualcuno ha sentito nominare per la prima volta durante lo spettacolo teatrale “Ausmerzen – vite indegne di essere vissute” dell’attore veneto Marco Paolini: si tratta di un ragazzino che, probabilmente, oggi sarebbe diagnosticato iperattivo, ma certo non “irrecuperabile” o malato. Consapevole che non si tratta, purtroppo, dell’unico totalitarismo che compì eccidi, credo sia comunque importante riflettere sulle conseguenze nefaste che hanno luogo, quando si ritiene di potersi mettere al posto di Dio, il peccato – principe, anche se spesso non lo cogliamo in tutta la sua drammaticità.

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Per approfondire la figura di S. Giovanni di Dio, consiglio il racconto della sua vita, all’interno della puntata “Beati voi – tutti santi”, andata in onda su Tv2000, il 19 gennaio 2016:

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