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Nell’ultimo decennio, il mondo del calcio è dominato da una semplice domanda, destinata a non trovare mai una risposta definitiva: il nome del giocatore più forte del mondo è Lionel Messi o Cristiano Ronaldo? Da anni, i maggiori esperti in questo campo elaborano teorie e pensieri a riguardo, spulciando statistiche, video, immagini e dati che possano determinare la carriera di questi due giocatori, per giungere in definitiva a una risposta alla domanda che tutti si pongono; ancora oggi, però, nessuno può dire di essere giunto a un responso definitivo, e le discussioni si basano ancora molto sulla soggettività dei tifosi, che possono preferire la classe di Messi o lo strapotere di Ronaldo. Qualcosa su cui tutti sono d’accordo, però, esiste: Messi ha ricevuto il dono di saper giocare a calcio con una naturalezza incredibile, Ronaldo, invece, pur dotato di un dono naturale, ha dovuto lavorare molto più duramente del collega per raggiungere i livelli a cui sono entrambi arrivati.
La domanda che ci si è posti in precedenza, dunque, potrebbe essere modificata in: il duro lavoro può arrivare a battere il talento naturale? Il livello di abilità di chi ha ricevuto un dono alla nascita, può essere raggiunto da chi è meno dotato ma si impegna allo sfinimento per migliorare?
Per eccellere in una disciplina, che sia sportiva o meno, vi è ovviamente bisogno di una base di partenza: se non si è portati per un determinato ramo, se non si ha nemmeno un talento minimo per un certo campo, è necessario essere onesti con se stessi e lasciar perdere; questo non significa rinunciare in partenza, che sarebbe la cosa più sbagliata del mondo, ma significa capire poco alla volta che quella cosa non fa per noi, che sicuramente eccelleremo in altre situazioni ma che quella materia non sarà mai parte del nostro repertorio. D’altronde non si può essere i migliori in tutto, è umanamente impossibile; se qualcosa non ci riesce nonostante gli sforzi che compiamo, vorrà dire semplicemente che ci si dovrà impegnare per capire in cosa il nostro talento può essere sfruttato. Se si ha una base di partenza, la quale, purtroppo, può esserci data solamente come dono alla nascita, allora nulla deve frapporsi tra se stessi e il proprio obiettivo; prendendo spunto dal mondo dello sport, sono innumerevoli i grandi campioni che non hanno la naturalezza di giocare a calcio o basket come Messi e Michael Jordan, ma questo non ha impedito loro di raggiungere i massimi livelli. Ascoltando le interviste e osservando i movimenti che questi campioni “meno talentuosi” compiono in partita, è inevitabile notare un durissimo allenamento per perfezionare ogni singolo movimento e riuscire così a fare ciò che Maradona o Magic Johnson hanno compiuto rispettivamente sull’erba e sul parquet in maniera più naturale.
Zanetti, l’uomo che si è allenato anche il giorno del suo matrimonio; Kobe Bryant, colui che ha ossessivamente ricercato la perfezione in ogni istante della sua carriera; Agassi, il tennista che odiava il suo lavoro ma che “doveva” eccellere a causa del padre; LeBron James, il ragazzo che ha lavorato per anni per diventare il più forte cestista del pianeta e non solo “uno dei più forti”; questi sono solo alcuni dei campioni che sono diventati  grandi pur senza nascere tali, che hanno saputo eccellere nel loro campo attraverso il sacrificio e il sudore, che non hanno voluto porre dei limiti al loro talento che era sicuramente rilevante, ma non così evidente come quello dei fuoriclasse che giganteggiavano sui poster che avevano nelle loro camerette.
“Sognare in grande” è sicuramente una delle chiavi per raggiungere il proprio scopo. Se all’inizio della propria carriera sportiva, o anche prima di un impegno importante in ambito lavorativo, si pensa anche solo per un istante di non poter essere “il migliore della classe”, allora ogni nostro sforzo sarà vano, perché mai potremo differenziarci dalla mediocrità. Zlatan Ibrahimovic è un calciatore che ha sempre avuto una personalità particolare, spesso supponente e spocchiosa, ma è questo suo duro carattere, il pensare costantemente di non essere inferiore a nessuno, che gli ha permesso di dominare ovunque abbia giocato; questo ragazzo ha sempre avuto un obiettivo, ha sognato di poter diventare un grande, e ha lavorato per riuscirci. Quello che gli altri dicono di lui non lo ha mai interessato: lui si ritiene il numero uno, ed è questa convinzione che l’ha portato ad essere uno dei più letali centravanti della storia moderna; tutto ciò non va recepito come un senso di supponenza, ma va visto come una convinzione nelle proprie capacità che è indispensabile se si vuole migliorare e raggiungere i più alti livelli di un determinato campo. “Sognare in grande”, quindi, è il primo passo necessario, ma non bisogna assolutamente dimenticare l’allenamento e il duro lavoro; gli sportivi che pur con un grande talento non sono riusciti ad eccellere sono infiniti: tutti hanno in mente una più figure che per un motivo o per l’altro non hanno messo totalmente a frutto il proprio dono, e spesso ciò è stato dovuto al fatto che sentendosi sicuri delle proprie doti naturali questi personaggi hanno trascurato la fatica e il sudore per migliorarsi, rimanendo così infangati nella mediocrità o vivendo comunque brevissimi momenti di eccellenza invece che un’intera carriera. Passare due ore a tirare solamente tiri liberi, provare e riprovare un calcio di punizione da una certa posizione, far rimbalzare la pallina sempre nello stesso punto appena al di là della rete … Questo significa voler raggiungere i massimi livelli! Chi, dotato di uno strapotere fisico e un buon tiro da tre punti, si annoierebbe per due ore ai tiri liberi? Chi non si accontenterebbe di un calcio di punizione venuto bene, invece che non abbandonare il campo da gioco finché quel tiro non è riuscito alla perfezione venti volte consecutivamente? Chi, avendo già raggiunto ottimi risultati in carriera, passerebbe intere sessioni di allenamento dedicandosi a un solo movimento da migliorare? La risposta a queste domande è solo una: un vero Campione.
La risposta alle domande iniziali, quindi, è una sorta di “non risposta”: il talento da solo non può battere il duro lavoro, ed è vero anche l’esatto opposto; per compiere grandi cose non si può prescindere da nessuna delle due cose, perché l’una senza l’altra rende semplicemente incompleti e incapaci di eccellere. Nello sport, come nella vita, sia che si nasca con una dote naturale o che la si ottenga poco alla volta con il duro lavoro e l’applicazione, è dunque necessario non porsi limiti; bisogna essere realisti, certamente, ma bisogna anche provare a mettersi in gioco totalmente in ciò che amiamo profondamente. Sognare è necessario, avere un talento naturale è sicuramente un grande aiuto, ma, come disse un tempo l’allenatore di football americano Vince Lombardi: “Il dizionario è l’unico posto dove successo viene prima di sudore”

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