Tutto è accaduto all’ombra di un campanile, nel cuore di una parrocchia, al confine di una città che deborda verso la periferia, l’autostrada. Nella parrocchia di san Lazzaro, che staziona come baluardo di fede, due fatti sono accaduti in questi quindici giorni. Il primo lo sanno tutti, pensano di conoscerlo tutti: una presunta storia a luci-rosse è sempre un’occasione ghiotta per affaccendarsi al punto tale da non occuparsi dei propri peccati. L’altro, accaduto contemporaneo al deflagrare della notizia, è passato inosservato, dando la sensazione d’essere inopportuno, almeno quest’anno: «Un Dio, amico mio, si è scomodato per me!» (Ch. Péguy). Sono profondamente concorde con coloro che, stampa alla mano, affermano: “Sconvolgente quanto successo!” Come potrebbe essere altrimenti: è davvero sconvolgente che Dio abbia deciso di rinascere proprio lì, al confine estremo tra miseria e santità. Per tratteggiarci, scortato da quattro evangelisti, il vero sconvolgimento del Natale cristiano: non saremo mai più soli. Alla faccia!
Oggi che la liturgia cala le serrande al Natale, vivo l’incognita di un dubbio: come sarebbe stato il mio Natale se non avessi accettato la compagnia-amica di quel racconto che, sopratutto questa volta, sembrava scritto apposta per me, per la fragile bellezza della mia chiesa diocesana, per quei poveri che cercano Lui nel bisogno di sentirsi dire che non sono più soli? La gente dirà: “Era cosa migliore se non fosse accaduto”. Come darle torto? Siccome, però, è accaduto, allora il mio Natale è stato ancor più una lieta-novella: nessuna storia, tra quelle che vorranno mettersi di traverso sulla strada, riuscirà ad arrestare la grazia del Cielo. Di più: laddove il peccato sembra esagerato, in misura decuplicata si manifesterà il formato dell’Amore. E’ tutto qui: nessuno obbliga a seguire Cristo. Chi si deciderà a seguirlo, dopo il rigurgito iniziale, farà il ripasso nella memoria di com’era la genealogia di Cristo. A leggerla a-luci-rosse, da un punto di vista carnale, è spaventosa anche solo ad immaginarla: è una storia di incestuosi, di adulteri, di prostituzioni, di omicidi. Basta la prima pagina scritta da Matteo per non perdere il senso della speranza. Esattamente dentro quella storia – storia la cui pretesa è d’essere la misura di tutte le altre storie – Cristo è nato. In storie del tutto simili, ogni anno Cristo rinascerà. Non già «in un silenzio di adorazione e di amore, ma nel bel mezzo di una tribù, fra i litigi, le gelosie, i piccoli drammi d’una numerosa parentela» (F. Mauriac). Di quella parentela che siamo noi.
E’ una storia povera, il Natale. Una storia d’amara tristezza: quando Cristo nacque, la gente manco s’accorse che era nato. Quando Cristo muore, sotto la Croce i soldati giocano a dadi: all’inizio fu l’indifferenza, alla fine fu la ludopatia a confondere le menti. A sconvolgere fu che, in questo turbine d’umanità, Cristo nacque. Nasce, s’intestardirà a nascere. Nonostante noi preti, grazie a noi preti, mettendosi di traverso ai nostri sogni di preti, sempre poco scandalosi a specchiarli nei suoi abissi. E’ stato tutto fantastico, allora, l’accaduto: non la materia, bensì la tempistica. Che, con gli occhi della fede, trasforma anche la materia dello scandalo: fosse accaduto in estate, sarebbe stato tutto più difficile d’accettare. Invece è accaduto nei giorni di Natale perché, qualora il nostro buio del cuore ce lo permettesse, avessimo tutti gli strumenti per leggerlo, senza far finta che nulla fosse accaduto. Per quanto mi riguarda, di un Dio che non mi nasconde la miseria della storia, ma nella miseria m’insegna a ricercare la bellezza, sento di potermi affidare. Con, attorno, i miei poveri a tradurmi le sfumature-natalizie, insegnandomi la differenza tra debolezza e perversione, tra il racconto e la realtà, tra miseria e desiderio. Qualora fosse verità, tra lo sbaglio di un singolo e lo stile di una collettività. Non è stato il Natale più bello, è stato il Natale più vero, cioè assai di più: Dio non illude, consola.
(da Il Mattino di Padova, 8 gennaio 2017)