fiore

Era l’ultima speranza di un popolo disperato: tra tutti, nessun popolo ha mai avuto tante avvisaglie come Israele. Del numero di profeti a lui mandati, si è perduto presto il conteggio. Quella dei profeti e dei precursori, tra l’altro, è per davvero una triste storia: sanno ma non vedranno, preparano il trono ma non vi sederanno. Forse per questo sono feroci: sanno d’essere voce di una presenza, non la presenza stessa. Nessuna traccia d’invidia, dunque: semplicemente l’urgenza di chi intravede, nelle fessure della storia, ciò che la folla ancora non è capace di scorgere: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,1-12). Che è come dire: “Voltatevi, gente: non vi accorgete che sta passando colui che tutti stiamo attendendo?” (liturgia della II^ domenica di Avvento). Sono uomini, i profeti, dallo sguardo tagliente, attento, focoso. A loro, per grazia, capita come quando una persona ti manca assai e tu la vedi dappertutto. Sono deliri-di-onnipresenza, più che di onnipotenza: perché se la distanza è solo un problema di geometria, l’assenza – anche l’assenza di Dio – non si risolve con nessuna equazione. Per il Cielo, dopo millenni di evidenti certezze, il modo migliore per dire all’uomo “mi manchi” è farsi trovare sotto casa, cuore-a-cuore, nel gesto delicato di chi chiede permesso: «Razza di vipere, Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente?».
Il Battista mica lo potevano capire, era come il sole a mezzogiorno: troppo forte per occhi deboli, troppo diritto per un’anima storta come quella di Erode. Succede sempre così, anche al Cristo Nazareno: la luce del mondo era troppo forte per delle menti assuefatte al lume delle candele. Perché invitare l’umano alla conversione, è come invitarlo ad assistere ad una lezione-sulla-mancanza: la mancanza è un vuoto dalle dimensione esatte, è inutile riempirlo di altra roba. Si riempirà solo con quel pezzo che s’incastra alla perfezione: dunque, «fate un frutto degno della conversione». Non un messaggio spiritoso o complicato, ma semplice, chiaro: nessun profeta, nel mentre della sua predicazione, ebbe mai l’intenzione d’impressionare l’uditorio. L’uomo spiritoso dice spiritosaggini per far pompa del suo spirito: Cristo e i profeti dicono cose semplici per accreditare la loro sapienza. Ecco, dunque, la loro premura, che è sempre la stessa: quella che il popolo non si perda l’appuntamento con la bellezza, che non gli sfugga l’aggancio con la salvezza. C’è un Dio-in-arrivo, e il Battista ne sente i passi, ne scruta l’avvicinamento, ne fiuta quasi il respiro. Per questo al popolo non deve più bastare sentirsi dire che Dio-è-amore, hanno l’occasione di vedere l’Amore indaffarato, all’opera: «Tiene in mano la pala, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Tutti possono vedere l’amato, ma solo chi è più intimo potrà un giorno toccarlo. Addirittura masticarlo – «Prendete e mangiate. Questo è il mio corpo» – come il più umile amante, come il più inumano tra gli amori.
La salvezza poggia su dei calcoli strambi: non misura la vita dal numero di respiri che l’uomo fa, ma dal numero degli attimi che tolgono all’uomo il respiro. Compito del Battista fu quello d’intonare la voce dell’attesa, di accordare i cuori a Cristo, di preparare il tutto perché la liturgia iniziasse: per poi farsi da parte e lasciare la strada, fare-strada, all’Amico. Domani, come pegno dell’amore che gli arde in petto, cederà la testa alla lussuria di Erode: troppo complicato, come uomo, per comprendere l’umile grandezza di quella voce sciupata dal vento. Fu proprio la voce, però, la vera ascia da guerra del Battista, lo strumento col quale tentò di purificare il mondo dalla banalità delle piccole attese: è solo rimanendo piccoli che un giorno si riusciranno a scoprire le cose grandi. Tutto il resto sono sprazzi d’eternità che sfuggono a causa dell’amor-proprio: a voler essere troppo grandi, certi giorni capita di non accorgersi neppure di Dio. Dannazione.

(da Il Sussidiario, 3 dicembre 2016)



Il Vangelo al femminile

di Elettra Ferrigno

«L’arrotino di Dio» 

larrotino

Noi siamo tutti lontani, smarriti,
né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo.
Vieni, Signore.
Vieni sempre, Signore.

(La nostra preghiera, D.M. Turoldo)

Ancora in posizione fetale, alla percezione della Sua in-visibile Presenza, s’era già talmente inebriato da sussultare. Comunicò alla madre i suoi balzi di giubilo e tutto il fremito della sua felicità sferrando calci e capriole al ventre perché non aveva ancora voce. Per questo, venuto al mondo, decise di farsi voce: certe missioni ti raggiungono sin nel grembo materno. Gli prestò bocca per il resto dei giorni, divenendo labbra della Parola, del Cristo una schiusa di voce, selvaggio tintinnio di corde vocali. Giovanni, detto il battezzatore: dei profeti ha la divisa -peli di cammello e cintura di pelle- del messaggio la voce: «Donne -uomini, vecchi, giovani e bambini, genti tutte- è arrivato l’arrotino! Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino! » (liturgia della II^ domenica di Avvento). Lo annuncia come una litania registrata e impressa nel nastro dei secoli, che corre veloce di profeta in profeta, le cui frequenze sonore sembrano molestrare i timpani nei momenti più inopportuni: quando si è affaccendati, o nel cuore di notti da sonno profondo. 

Il bambino, definito anzitempo profeta dell’Altissimo, s’era intestardito di fare, da grande, l’arrotino, di voler girovagare -urlando a squarciagola- per incendiare la pace apparente e pigra del mondo col Fuoco di un Alfabeto divino. Per raddrizzare le strade sbagliate come fossero vecchi arnesi da cucina da battere come ferro caldo sul torchio, per sostituire con la Luce certe dispersioni di fumi tenebrosi, per arrotare vite rotte usando mole e pezzi di ricambio. Un giro di poche lune lo collocava in anticipo rispetto al Sole, e tutto doveva essere fatto prima che quel Sole sorgesse alto sul giorno della Redenzione. Prima che l’umanità restasse abbagliata dalla potenza della Luce Vera, però, era necessario prepararla al chiaro di luna. In pieno giorno quel Sole si ritrovò il dito di lui puntato dritto in volto: «Ecco l’Agnello di Dio». Girati!
Quella voce s’incamminò, sulla tovaglia rugosa e sconnessa del deserto di Giuda. Un deserto, che per la sua vastità e profondità spaziale compie, di generazione in generazione, il miracolo di ricapitolare tutti i tempi: nè prima nè poi, nè ieri nè domani, tutto rimane misteriosamente sigillato nell’indefettibilità dell’oggi di ogni esistenza in grado di accogliere Colui che viene. Il precursore arrotino è là, sulla soglia di un’arena ondulata e spoglia -l’Antico termina, il Nuovo avanza- deciso ad affilare la lama lucente di quella Parola in grado di penetrare fino alle giunture delle ossa, che di lì a poco avrebbe squarciato il velo del tempio e avrebbe annunziato, di Sè stesso, ch’era venuto a portare non la pace, ma la spada. 
Lo proclama in quel deserto che oltre che del silenzio, è l’ambito delle parole che contano, oltre che riparo dall’assedio delle folle è anche il recinto degli incontri decisivi, la terra prediletta delle più struggenti e incontenibili dichiarazioni di intenti e di idilli nuziali, lo spazio della migliore formazione del popolo che Dio s’è scelto e offerto di condurre fuori. Poi ammonisce –“Fate frutti degni di conversione”– con la bocca piena di locuste tese a divorare dai cuori la menzogna del serpente antico. Il Battista è solo un anticipatore della maestria artigiana di Cristo. E’ Lui, il figlio del carpentiere, il solo capace, col Fuoco, di rimodellare la pietra trasformandola in carne. Di bruciare, in un Fuoco d’Amore, ciò che amore non è. L’Attesa di Lui diventa allora tempo di decisione di noi, chiamati come il Battista ad accogliere, proclamare e custodire un Fuoco, e non ad adorare la cenere della delusione e di mille disincanti. “Raddrizzate i suoi sentieri”, dunque. Non i vostri, i Suoi: date alla vostra vita la possibilità di innestare la Vita e il sogno di Colui che nel ‘qui e ora’, a sua volta, attende…
Anche in Cielo oggi è cominciato l’Avvento: per ogni uomo Dio sogna di condurlo verso le nuove stagioni del Regno.

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