aspettare

Il Re è morto amando: sino alla fine, fin sulla Croce, che più di così non gli riusciva di fare. Nessuno, dopo di Lui, seppe fare meglio. In tanti, ancora oggi, ci tentano: i più falliscono – senza le basi, scordatevi le altezze -, i santi vanno a bersaglio, il Vangelo cammina. Dio, ancora una volta, si rimbocca le maniche e ricomincia: «Se non ci metterà troppo, l’aspetterò tutta la vita» (O. Wilde). D’ora innanzi, nel destino ultimo di ciascun’anima, ad importare non sarà quanto si sta in attesa, ma per chi si sta in attesa. I Vangeli sono luce che abbaglia, parole in agguato, lavori-in-corso: nel costruire la casa della felicità – che nessuna casa sia senza la festa del cuore -, la sala-d’attesa verrà organizzata come la stanza più grande. Anche l’Avversario, il Satana ingelositosi, ha la sua sala d’attesa: più vecchie e noiose sono le riviste in sala d’attesa, però, più si dovrà aspettare per entrare. L’attesa, per ambedue gli schieramenti, è un futuro a mani vuote.
L’avvento è l’attesa di Dio, del Re ch’è morto amando. Da quel sospiro, si è diventati un po’ tutti mendicanti di bellezza: l’uomo diventa cercatore di felicità. “Siamo in attesa del Dio-Bambino” vanno ripetendosi quaggiù lungo le quattro settimane d’Avvento. L’atteso è il soprannome col quale hanno imparato a chiamare il loro Dio: l’Atteso delle genti. Questo, però, è l’Avvento più semplice: Dio manterrà le sue promesse, Fedele è il suo nome. L’attesa più complicata è l’altra: l’attesa che vive Dio. Il periodo d’Avvento della Santissima Trinità: “Siamo in attesa dell’uomo. Che l’uomo accetti d’essere amato”. La notizia certa dell’amante è quella d’essere disposto ad amare ad oltranza, fin quasi a giocare in perdita: ciò di cui nessun amante è mai certo è se l’amato accetterà d’essere protagonista di una simile avventura di grazia, di gratuità. Nemmeno Dio è così sicuro che l’uomo s’accorga del suo passaggio, del suo farsi assaggio di eterno nel tempo. Siccome è già capitato ai tempi di Noè, sarà più facile che accada di nuovo piuttosto che se non fosse mai accaduto. Non facevano nulla che fosse male: consumavano, bevevano, si maritavano tra loro (liturgia della I^ domenica del Tempo di Avvento). E’ l’elementare della vita. A castigare la loro attesa non fu un male fatto, ma che non fecero ciò che era per loro il bene, quello massimo: l’accorgersi di Dio, d’essere nell’interesse di Dio. Che Dio si stava interessando di loro. Capiterà ancora: a Betlemme Lui passa ma non s’accorgono nemmeno, in Galilea predica e raddrizza gli arti ma non gli danno la pur minima fiducia, dalla Croce inaugura la Redenzione e sotto continuano a giocare a dadi. Sempre così: Lui passa-ripassa, loro s’appisolano, si distraggono fin quasi a prendere sonno e perdersi l’appuntamento clou.
Dio è in attesa dell’uomo: gli sta a cuore, non riesce più a prendere sonno finchè l’uomo non è entrato dalla porta-di-casa-sua, il suo cuore s’agita in mille tormenti, non trova pace né tregua. Han detto che Dio è inutile all’uomo, che la sua è una passione-noiosa, che anche Dio è un oggetto tra gli altri, un oggetto inutile: a me, degli oggetti inutili, affascina da sempre la capacità che hanno d’aspettare il loro turno. Dio è inutile all’effimero dell’uomo: attende il suo turno, d’entrare in gioco quando l’uomo, tradito dall’effimero, chiamerà l’eterno. La fibrillazione di Dio ha a che vedere con l’attendere: “Se è in grado d’aspettarti, ti ama” ho letto sui jeans di una ragazza che viaggiava in aereo accanto a me. E’ stato il Buon-Avvento recapitato al mio indirizzo. Sarà per questo che per gli spagnoli aspettare è esperar: in fondo, aspettare è anche sperare. Che il Dio-Bambino ri-nasca, che l’uomo si decida a ritornare verso casa: che il mondo ritrovi la pace perduta. «Vegliate, dunque, perchè non sapete in quale giorno il Signore verrà (…) Nell’ora che meno immaginate» (cfr Mt 24,37-44). Amare qualcuno che non ti ama, è come aspettare una barca in aeroporto: pare tempo-perso. Pare che questo sia anche il diletto di Dio: fingersi ingenuo, quasi ritardatario, per colpire di sorpresa. Distrarsi sarà un po’ come perdersi.

(da Il Sussidiario, 26 novembre 2016)

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