Le porte, quelle che erano state aperte per essere varcate, sono state tutte chiuse. La parte più dura è terminata: «Porta itineris dicitur longissima esse» (“Si dice che la porta sia la parte più lunga di un viaggio”). L’ultima porta rimasta aperta, quella della Basilica di San Pietro, chiuderà i battenti in mattinata: sarà lei ad annunciare al mondo che il Giubileo della Misericordia è terminato. D’ora innanzi, costi quel che costi, si tornerà tutti dentro la vecchia storia di un tempo: il Signore testardo nel portare la salvezza, certi uomini per nulla preoccupati di venire salvati. E’ la vecchia storia dell’indifferenza, seppur suonata da cuori nuovi, in tempi nuovi, in modi nuovi. Rimarrà la robusta azione di quel tremendo amante ch’è Dio, tutto curvo sui peccatori a sussurrare loro: “Sei tenebra, ma io ti mando il sole”. Il Dio-della-porta, sulla porta, il Dio in attesa, dell’attesa: tanto spesso, quest’anno, l’abbiamo incontrato in atteggiamenti di amore, in gesti di perdono. A volerne scegliere uno a scapito dell’altro, ci si troverebbe nel più spietato degli imbarazzi: «A colui che bussa alla porta non si domanda “Chi sei? Gli si dice: “Siediti e mangia”» (proverbio siberiano). Dodici mesi che, a chi ha accettato l’invito ad entrare per quella porta, sono valsi la certezza d’essere stati portati a spasso da una mano sicura: quella di un Papa, ch’è la mano di Cristo.
Al tempo di Cristo – la primavera della Chiesa – il popolo dei sapienti non tollerò affatto che la città s’inchinasse ad un uomo come quello, che gli anziani fossero istruiti da un falegname: Egli ridonò la vita ai loro morti, essi gli tolsero la vita. Tutto per quella piccola differenza: loro, i presunti-salvati, erano convinti che bisognasse cambiare il mondo per poi riuscire a cambiare se stessi. Lui, pancia a terra, mise in scena la prova contraria: disse che si poteva migliorare il mondo soltanto migliorando se stessi. Sul momento, nessuno dei presenti afferrò il peso di quelle parole: poco dopo, scoprirono d’aver assistito in presa diretta alla presentazione ufficiale della Misericordia: perdonare se stessi per poi riuscire a perdonare gli altri, per tentare l’avventura di migliorare il mondo, perdonandolo. I seguaci di Cristo, dopo quell’incontro, solo una cosa saranno autorizzati a gridare nel mondo senza correre il rischio di venire denunciati dal Cielo: “Dio ti cerca, Dio ti trova. Non te lo perdere, altrimenti sei perduto”. Quello di Francesco è un Dio con la lanterna che va in giro cercando qualcuno che sia ancora interessato a Lui: a cercare l’ultima pecora perduta, a rimettere mano all’ultima strada slabbrata, a carezzare fino all’ultimo la carne ferita.
Il tempo di chiudere la porta, ecco i primi sondaggi: “Deluse le aspettative degli albergatori: un giubileo nettamente al di sotto delle previsioni. I tassisti furibondi perchè i pellegrini sono andati a piedi”. Ch’e come dire: “Questo Papa non ha risolto nulla con questo anno di caos”. Questo apparente fallimento è la vera vittoria della Grazia: aver fornito all’uomo l’occasione di migliorarsi, senza per forza annullare la sua libertà. E’ l’istruzione-d’uso della porta: «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). In caso contrario non sfonderà alcuna porta: non ci può essere gioia laddove non c’è libertà. Liberi pure di non riconoscere ciò ch’è accaduto, di rifiutare quell’Amore fattosi così vicino da poter venire ascoltato, così intimo da poter venire toccato. “Il Papa ha perduto la partita”, predicano i detrattori. I poveracci, invece, sono ancora lì a carezzarsi la carne ferita, l’anima che prima era disperata. I sondaggi li lasciano agli altri: ciò che a loro preme è di essere tornati i protagonisti del Vangelo, l’interesse della Chiesa. Per far questo – che è il tornare a Cristo -, una porta è sufficiente: la quantità non fa la qualità. Tutte le altre certezze creano solo cadaveri.
(da Il Mattino di Padova, 20 novembre 2016)