Davide RebellinDei 28 fotogrammi olimpici rivestiti di medaglia 7 recano la firma di grandi faticatori veneti. Due fiori li elargisce pure la terra vicentina: quel Davide Rebellin che del medagliere di Beijing è stato l’ouverture e quella donzella tutta grinta e tenacia che corrisponde al nome di Guderzo Tatiana. Entrambi legati da quel destriero appassionato e insostituibile chiamato bicicletta. Un premio alla carriera per il Rebellin posato: senza tatuaggi né veline, ignaro di scoop scandalistici o rombi di macchine tuonanti, da quindici anni s’inerpica puntuale sulle mura del ciclismo come sentinella appassionata e vincente. Oltreché sorprendente. In quella medaglia argentea riposa il vero spirito olimpico: passione e sacrificio, allenamento e costanza, silenzio e attesa. "Giorno dopo giorno, silenziosamente costruire" – canta Nicolò Fabi. E applica la Tatiana marosticense. Appena un pizzico di smalto nelle unghie – come eco della sua femminilità – e poi via. Lungo quei sentieri che lambiscono il suo castello alla conquista di quella muraglia di cui i cinesi vanno orgogliosamente fieri. Fino a godersela dalla luna. Poco importa che sia bronzo: l’olimpiade è l’unica gara in cui tutti i gradini del podio sanno partorire commozione. S’è attaccata il numero, ha atteso l’attimo, ha portato via la fuga e ha strappato coi denti quel gradino che un acquazzone violento le voleva offuscare.
Trentasette primavere il Rebellin d’argento, trentasette primavere il Baldini Stefano della maratona di Samuel Wanjiuru, keniano naturalizzato nipponico. Ormai prossimi entrambi ai 40, salgono in cattedra e danno lezione di stile nello sport. Incollandosi il numero sulla maglia ne onorano la liturgia. E’ l’inizio di una celebrazione nella quale una cosa è certa: non faranno solo presenza. Sono faticatori loro, non modelle o calciatori. E il faticatore si rende onorabile onorando la corsa e pure chi gli soffia il traguardo. Faticano, vincono, perdono, ritentano. Sanno quando vincere ma sanno anche quando fermarsi. Potrebbero anche risparmiarsi, ma il loro vero risparmio è l’attacco: la medicina che li preserva dall’usura della mente. Il testamento sportivo di Baldini è roba da giganti: "Non ho eredi: la fatica fa paura, forse non è più nella nostra cultura".

A Vicenza abitava un salbanèlo di nome Sella: vinceva, spianava le montagne, danzava sui pedali. Poi l’hanno pescato: il motore era truccato. Forse che i giovani hanno paura della fatica?
Doppio onore, vecchio Rebellin!

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