David

Saul regnava, a quel tempo; ma una disobbedienza aveva segnato il suo agire: Samuele, spinto da Dio, non volle più esserne il consigliere e, nonostante la paura di sue ritorsioni, partì subito, sulla parola di Dio che lo spingeva ad ungere un nuovo re. Arrivato presso Iesse, che ha tanti figli giovani e vigorosi, s’illude di aver trovato subito il successore al trono d’Israele: impossibile non pensare ad Eliab, il cui vigore era talmente evidente, che non si poteva che vedere in lui il candidato ideale in possesso del carisma necessario per governare Israele. Inutile dire che fu uno smacco non ricevere il placet su quel candidato tanto plausibile. Ma Samuele non si perse d’animo, perché anche con Abinadab, Samma e gli altri figli di Iesse sarebbe andato sul sicuro. Nessuno, tra i sette andò bene. Samuele sembrava un po’ preoccupato. Ma in realtà qualcuno era ancora rimasto, perché Iesse gli risponde: «Rimane ancora il più piccolo che ora sta a pascolare il gregge». Era fulvo, con begli occhi e gentile di aspetto. Detto in altre parole: era diverso dagli altri, più mingherlino e più giovane. Per di più suonava la cetra, quindi era sostanzialmente uno scansafatiche, uno che infiacchiva più le dita sulle corde che le braccia in esercizi guerreschi. Probabilmente, Samuele deve aver strabuzzato gli occhi, domandandosi se il Signore non lo stesse prendendo in giro. Di sicuro sarà stato un giovane di belle speranze e anche dotato di ingegno e talento musicale, magari anche un bravo pastore, perché no? Ma qui si trattava di trovare un nuovo re per Israele, non un artista in erba! È evidente che Samuele deve aver avuto diverse perplessità di fronte a questa scelta, perché c’è stato bisogno che il Signore gli dicesse: «Non guardare al suo aspetto né all’imponenza della sua statura. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore». Senza questa spiegazione, ci sarebbe solo da strapparsi i capelli dall’incredulità. Non fosse che, qualche tempo dopo, i fatti gli daranno ragione, dal momento che, più tardi, sarà questo giovane pastore, dotato solo di una fionda, a sconfiggere il campione dei Filistei. [1Sam,16, 1 – 14; 17, 1 – 54 ]

Nel Vangelo, la madre dei “Figli del Tuono”, Giacomo e Giovanni, ricordandoci molto le nostre, prova a “raccomandare” i propri rampolli. Inutilmente [Mt 20,20]. Perché Gesù, anche in questo caso, ricorda quale sia la logica divina: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20, 25 – 28). La grandezza, in chi serve: chi se lo sarebbe mai aspettato?
Ci sono mille anni, tra un episodio e l’altro. Ma, ai tuoi occhi mille anni sono il giorno ch’è passato, come un turno di veglia nella notte [Sal 90]: sì, perché in entrambi i casi, la logica di Dio rimane sempre la stessa. Sempre pronta a spiazzarci e mettere in crisi le nostre (vane) certezze.
Non è grandi che dovete diventare, ma tornare piccoli: questa l’assurdità che ci chiede Dio. Passiamo l’infanzia a idolatrare gli adulti, convinti che, “quando saremo cresciuti”, potremo fare chissà cosa, ma Gesù ci mette in guardia: non è la robustezza, non è la voce grossa, non è incutere timore l’obiettivo. Anzi, come Davide, a volte proprio essere piccoli può aiutarci a fare cose grandi: perché se nessuno, per pregiudizio, pensa che possiamo raggiungere gli obiettivi, forse, vi arriveremo con meno intralci, spezzando, sul nascere, ogni derisione, all’arrivo della vittoria. Quella vera!

 

 

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