mani anziane giovani

Che ridere: le proviamo tutte per essere felici. Adocchiamo nella pubblicità la beatitudine per aver cucinato i tortellini con il dado e sondiamo pure noi. Ma a casa nostra, con tre dadi, mamma, papà e figlio s’ingegnano furiose litigate. In tv all’alba si danza per le fette biscottate a colazione. Ma a casa nostra, anche con le stesse fette biscottate, tutti sbraitano perché hanno fretta di uscire! Ci manca sempre qualcosa per essere felici: prima la bicicletta, poi la moto, poi la macchina, poi la casa, poi la salute. Eppure ci sono cinque pani e due pesci: non sarebbe male. Non saremmo proprio sul lastrico. Ci sarebbe ancora speranza. Cinque pani e due pesci sono nulla (liturgia della XVII^ domenica del tempo ordinario). Oppure la giusta misura.
Questa pagina di Vangelo ha dell’incredibile: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci” – s’allarmano i discepoli. Immediata soluzione: “Portatemeli qua” – suggerisce il Maestro falegname improvvisatosi fornaio per finire Signore. Perché, a capirci di cielo, tutto dipende dalle mani in cui gli oggetti si trovano. Cinque pani e due pesci bastano. E avanzano. Glieli portno, non hanno scuse alle quali aggrapparsi: Lui li prende, alza gli occhi, recita la benedizione, li spezza e li riconsegna loro perché li distribuiscano. Morale della favola: con cinque pani e due pesci ha sfamato cinquemila uomini e donne, più le donne e i bambini. Di più: rimasero dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quando si dice che al Cielo piace esagerare: nei Vangeli non c’è gioia se non si esagera. Anche quando si pecca.
Molto bene, il miracolo è avvenuto. Tu ti chiedi: cosa avranno capito i discepoli? Semplice: han capito poco più di niente. Io, invece, sono anni che penso a questo miracolo di Cristo. Ci penso e mi rigiro nel letto fino a mattina. Perchè è vero: nelle mie mani una pallina da golf vale qualche euro, nelle mani di Tiger Woods il suo valore si scrive in miliardi di dollari. Se prendo in mano una racchetta da tennis, la confonderei con l’attrezzo che la mamma usa per battere i tappeti. Nelle mani di Flavia Pennetta quella racchetta vale una finale a Wimbledon. Se prendo in mano cinque pani e due pesci, sono poco più che uno spuntino: nelle mani di Cristo sono cibo per una città intera. Questo c’era da capire: che tutto dipende dalle mani in cui si trovano le cose. Sono le mani a fare la differenza; e questo è mostruoso nella sua bellezza. Guarda: se i miei sogni, le mie preoccupazioni e le mie paure me li tengo stretti in mano, rischio di cadere in depressione. Se provo a spostarli nelle mani di Dio, rischio di capovolgermi dalla gioia. Cioè mi riescono cose che pensavo inaudite: d’altronde, che cosa dovrebbe fare un maestro se non insegnarti che sei capace d’infinito? Che vali molto di più di quello che gli altri vogliono farti credere? Loro si son stupiti. Han visto pani e pesci dappertutto e hanno gridato al miracolo. Senza accorgersi che il vero miracolo era un altro: rendersi conto che le mani di Cristo avrebbero potuto fare di loro della gente strepitosa. Che con Lui rischiavano veramente di rivoltare il mondo come un calzino.
Marco, l’altro dei quattro che racconta questo miracolo, non risparmia la figuraccia ai discepoli. Li ritrae gelosi, al punto tale che quella gente la volevano rispedire a casa (“Evviva l’amore!”), avevano paura che creassero problemi. Fortuna che questi avevano vissuto vicino a Cristo. E’ una delle peggiori figure dei Vangeli. Tanto che Lui cosa fa? Marco è tremendo: «Subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva». Si volta e dice loro: montate in barca che ho i nervi a fior di pelle. Via, distanti da me. Figurati se questi osano replicare: montano in barca e puntano all’altra sponda. Stasera sono muti come i pesci che pescavano quand’erano ancora a casa loro.
Peccato non crederci davvero. Tante volte la vita dipende davvero dalle mani in cui la si gioca. Cambia tutto. Cambia tanto.
Cambia che invece di dire a Dio: “Ho un grande problema”, si potrebbe dire al problema: “Ho un grande Dio”.

 

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