Ho tutta intera la collezione, abbinata rigorosamente alle date, che tengo custodita nel cassetto dell’armadio: assieme ai pettorali delle maratone della Major League, le considero delle reliquie laiche di serate settembrine per me memorabili. Serate ad altissima densità d’umano: dunque potenzialmente esplosive, come si è saputo giorni fa. E’ per questo che, per quanto mi riguarda, alla nobile storia sportiva della NonSoloSportRace lascerò attaccato per sempre il nome di Luca. Era l’inizio di settembre 2012, era di domenica sera. Sulla linea di partenza di Prato della Valle, mi s’intrufola accanto un bambino poco più che dodicenne. Vestito dell’arancione sgargiante di quell’annata, noto che al polso porta attaccata, come fosse un braccialetto, una foto: sembra lui quello ritratto. In realtà non è proprio lui, ma quasi: «E’ mio fratello gemello», mi dice con un affetto che nessuna parola potrebbe tradurre. «E’ all’ospedale, alla Città della Speranza, e sta lottando contro un cancro maligno al cervelletto. Stasera gli ho detto: “Gio, correrò più forte del tuo male”. Io stasera corro per mio fratello. Tu per chi corri?» Certe domande sono come uncini: il pesce è messo nella rete.
Correre un’inezia più forte del male, non una quisquilia quella rinfacciatami da quel piccolo-runner. Dal momento che nessun’altra disciplina, al pari della corsa, riesce così bene nel narrare l’esistenza: il sudore e la passione, l’esaltazione e la disperazione, le andature lente e le andature da rilanciare. La costanza, la disciplina, lo stile: «Mi hanno chiesto: “Perchè corri? Io ho risposto: “Perchè tu sei fermo?”» (J. Wariner). “Non-solo-sport” non è una griffe come tante altre: è una concezione diversa di sport, è fare dello sport una ragnatela di contatti, incrociare sangui e storie nello stesso prato. A Padova era la “race” per antonomasia: mica solo una gara, addirittura un Festival del Volontariato che, cucendo assieme il tempo gratuito di un’anonimato affollatissimo, offriva una domenica di speranza a chi c’era, a coloro per i quali si correva («Tu per chi corri?»), a chi crede in una sorta di simpatia della carità, disegnata a passo di runner. S’iniziava settembre – mese di transumanza, di ripartenza, di mestizia – col sorriso abbronzato. Era un darsi appuntamento, un cercarsi, un allacciarsi le scarpette e dire a tutti i bambini crocifissi dal male: “Stasera corriamo tutti per voi”. Chi, per otto anni, l’ha organizzata, c’è da credere ne abbia rimesso: non fosse altro per il tempo non riconosciuto. Il vero guadagno, per costoro, era addensato su altre dimensioni: il guadagno di un sorriso, di un arrivederci, di un ritorno. Certi uomini diventano giganti facendo spazio agli altri nei loro pensieri.
Quest’anno la NonSoloSportrace, a Padova, non si farà più. Due possono essere le letture: la Padova d’oggi non merita più questa serata, oppure questa race-di-carità è diventata pericolosa. Dunque, meglio arrestarla. Con apparente eleganza: mettiamola in condizioni tali da non riuscire più a stare in piedi. A correre. Detto, fatto: la carità, quand’è trasparente, arreca un fastidio pachidermico. A qualcuno una Padova disgregata potrà piacere: c’è anche chi si diverte a togliere invece che allargare. Così come ci sono uomini tutti presi ad allungare l’esistenza, quando il vero segreto è allargare l’esistenza, accendendo la fantasia della carità. Hanno detto – ne dicono tante – che “race” rimarrà nel nome dell’alternativa che oggi-non-c’è. Peccato che il segreto di quella serata stesse proprio all’opposto di quell’espressione: non-solo-sport. Mi chiedessero di scegliere tra l’appendere i crocifissi in tutte le aule di Padova o la Non-solo-sport-race, non nutrirei il minimo dubbio: la seconda, di tutto cuore. Il Crocifisso, scordati i piccoli crocifissi di oggi, è solo un pezzo di legno. L’ha spiegato Elie Wiesel. Me l’ha spiegato Luca, il runner con una foto legata al polso.
(da Il Mattino di Padova, 10 luglio 2016)