Le lacrime sono ciò che trabocca dal nostro cuore, quel più che non può essere trattenuto, per questo diciamo tante volte “sono scoppiato a piangere”. A dirotto, amare, di coccodrillo, le lacrime sono sentimenti e stati d’animo che diventano materia, che innaffiano e irrigano una terra arida che anela ad essere giardino. E se di sale son fatte, esse sono anche il condimento che serve a dare sapore all’umanità e a riscattarla dai fardelli della sofferenza vissuta senza darle un senso, una consolazione, una speranza. Piccoli ruscelli che attendono di essere prosciugati, prima che sfocino in un oceano di disperazione. Le lacrime sono un dono, perché purificano, liberano e svuotano il cuore dai macigni che lo opprimono. “Il paese delle lacrime é così misterioso…” disse il piccolo principe! Certe lacrime sono più eloquenti di mille preghiere. Dice Papa Francesco che le lacrime sono gli occhiali che ci servono per vedere meglio Dio (cfr. Meditazione mattutina, La grazia delle lacrime, 2 aprile 2013). 

Conosco un Uomo che sembra avere una predilezione speciale per gli occhi umidi e traboccanti e le guance solcate dalle lacrime. Medico delle anime, bravo oculista all’occorrenza. Le prime parole dette ad una madre -vedova- che ha perso il suo unico figlio sono: «Non piangere» (cfr. Lc 7, 13). Non piangere: sembra una di quelle frasi a buon mercato che si dicono quando non si ha nulla di meglio da dire. Come si fa a dire ad una madre che ha appena perso il suo unico figlio “Non piangere?”. Impossibile, davvero. 

Un Dio che per farci capire che é Padre manda il Suo unico Figlio nel mondo; poi un giorno, a Nain- luogo di delizia- decide di farsi anche Madre in una madre. Come? La guarda in tutta la sua disperazione, nella totalità di un dolore così lancinante che non lascia spazio nemmeno per una supplica ma che é esso stesso supplica. Come una calamita, inconsapevolmente, quella donna ha attirato verso di sé lo sguardo miracoloso di quel bravo oculista. Le sue lacrime hanno fatto da catalizzatore: non erano artificiali. Quel Medico, prima di elaborare la diagnosi, decise di guardare la morte troppo prematura e troppo improvvisa di quel ragazzo con l’iride di sua madre e, analizzandola al microscopio, si accorse, elaborando il referto, che la vera morte é quella di chi rimane, non di chi va via. Allora prese la Parola: “Non piangere”, come a dire: “Ho la soluzione, ho la medicina!”. Parola che (ri)dona la vita dove fino a quel momento c’era solo morte; la consolazione che ne deriva sarà la conseguenza. Parola che é collirio per gli occhi arrossati del cuore. Ce lo ha detto: «Beati quelli che sono nel pianto perché saranno consolati» (cfr. Mt 5, 4). Le lacrime asciugate sul volto della madre scivolano adesso su un altro Volto, quello in cui tutti i dolori si specchiano e trovano compassione. Compassione, l’attributo più alto di Dio. Nel Suo grembo siamo stati generati e chiamati figli (cfr. Sal 2, 7) e lì, dalle sue viscere, dal punto in cui siamo stati più amati, Dio sente tutto il nostro dolore- diventa il suo- e prescrive la cura: «Ragazzo, dico a te, alzati!». Da bravo Medico sa che la malattia si cura iniettando una piccola quantità di ciò che te l’ha provocata: Egli stesso si fece morte per sconfiggere la morte e poter restituire la vita (cfr. Gv 11, 25). Ad ognuno la sua: alla madre con la resurrezione nella morte, al figlio con la resurrezione dalla morte. Vita che restituisce alla vita il calore di un abbraccio, il piacere delle relazioni autentiche, la necessità di farsi prossimo, di aprire spiragli di dialoghi dove non c’è comunicazione  semi di speranza dove c’é desolazione -ci sono molti modi di morire, il peggiore è rimanendo vivi, diceva Cheyenne in This must be the place. Ma la morte non è l’ultima parola; la Parola definitiva è quella che al Principio ha suscitato la vita, venendo ad abitare in mezzo a noi (cfr. Gv 1, 14) e che nella stessa morte suscita la Vita. Veniamo dall’Amore e là siamo destinati a tornare. La fine è solo il fine della nostra vita, principio di quella eterna.

Per la miopia diffusa nelle nostre Nain quotidiane, Il Medico prescrive gli occhiali: perché tutti possiamo vedere e fare nostre le lacrime di molte madri logorate dal dolore per i figli persi e per quelli perduti; e perché tutti possiamo vedere più da vicino figli che sembrano uccisi ma in realtà sono schiacciati, che sembrano morti ma sono solo addormentati. Certi che queste lacrime le ritroveremo nell’eternità, non più come lacrime, ma come perle preziose, perché abbiamo detto sì all’Amore Vero, alla Vita vera, all’unico Volto che sempre cerchiamo e che ancora oggi viene a visitarci per tergere ogni lacrima dai nostri occhi, annientare la morte, il lutto, l’affanno (cfr. Ap 21,4) e cambiare le nostre grida di dolore e i nostri lamenti in danza (cfr. Sal 29, 12). 

 

 

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