Delle quattro operazioni che sono proprie della matematica – addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione – la mia preferita è da sempre l’addizione. Quel pomeriggio, però, mi scoprii nella gattabuia della sorpresa: m’imposero di fare una divisione e io, stranamente, non opposi resistenza alcuna. Corsi dritto nel bagno della mia cameretta per fissarmi allo specchio: la paura di non riconoscermi più faceva-novanta. Avevo tre anni e qualche mese: dal dicembre 1979 la camera era solo mia. Tutta mia, esclusivamente mia. Quel giorno ho visto il mio nonno entrare in camera armato dei suoi attrezzi: ha spostato il letto (dal centro-camera dove, per me, stava da-Dio), ha montato un armadio vicino al mio (identico, solo il colore era leggermente più fresco), ha sistemato un altro comodino oltre a quello che c’era. Lo guardavo sbigottito. Avrei voluto dirgliene quattro, ma come potevo? Era l’unico nonno che avevo, un quasi-papà, il terzo uomo di casa nostra. Quanto si sarà divertito, lui, a vedermi muto, col-musetto! Ad opera compiuta, si sedette: mi fissò. La notizia fu compito della nonna-postina farmela recapitare. Entrò, a gamba tesa: “Sta per arrivare un fratellino. Dobbiamo fargli trovare il posto pronto. Dormirà qui con te”. Così, tempo una frase, appresi due notizie: che la mamma era incinta e che la divisione era più bella dell’addizione. Che mio è un aggettivo ossessivo, nostro è (p)ossessivo. La camera, divisa, è un fratello aggiunto. Una gioia moltiplicata, mica sottratta.
Io e mio fratello Sandro: divisi in tutto, fin quasi a sospettare d’essere seme della medesima paternità. Che poi, accertata oltremodo, mostrò essere il segreto delle mura di casa nostra: le diversità, riconciliate, s’arricchiscono, fin quasi a fondersi, confondersi. Lui tutto-la-mamma: dolcezza, garbo, diplomazia, pazienza, sorriso, apprensione. Tatto, tanto tatto. Io, al contrario, tutto-il-papà: estro e imprevedibilità, genio e nervosismo, fulmini, intuizioni. Poco tatto, tanta manualità: l’una, senza l’altra, si perde. Si cercano, dunque, per non smarrirsi. Lui sedentario, io zingaro: dei Baci Perugina a me spetta la cartina con la frase, a lui la cioccolata. Sempre così a casa nostra: al primogenito tocca il compito d’andare a comprare i KinderBueno, al secondogenito di mangiarne finchè trova scritto “Hai vinto” (che, guarda caso, non compare quasi mai). Almeno la bilancia, ogni tanto, fa giustizia. In poco più di trent’anni assieme, c’è stato di tutto un po’: rabbia e orgoglio, giudizio e pregiudizio, amore e lontananza, nostalgia e presenza. Mistero. Silenzi lirici, liriche senza silenzio, silenzio della lirica: «A volte essere un fratello è ancora meglio che essere un supereroe» (M. Brown). Non ho bisogno di supereroi, ho Sandro.
Inseparabilmente assieme, anche quando siamo lontani: «Quando i fratelli vanno d’accordo, nessuna fortezza è così solida come la loro vita in comune» (Antistene). Io sopra i palcoscenici, lui dietro le quinte: a cambiare, per anni, i pannolini sporchi al nonno-infermo. Io a raccontare storie, lui a scrivere la sua piccola storia: per poi metterla a disposizione perchè diventi anche mia, la nostra storia di fratelli. Il cognome che papà gli ha fatto trovare, io gliel’ho appesantito oltre-misura: “Sei fratello di Pozza?” è una frase che si sarà sentito rinfacciare un po’ ovunque, in primis negli scantinati umidi del seminario. Dei luoghi di culto, più o meno cristiani. E lui, schiena-diritta, sempre pronto a saldare gli arretrati, con l’arte del disarmo: “Orgoglioso di esserlo”. Il tempo, in breve tempo, gli ha trasformato il tempo-speso. Ha guadagnato una vita felice: chi ama, regna. Il mio è il fratello-del-sottoscala, l’umiltà che sempre ho invidiato: mai davanti, sempre dietro. Anche quando lo merita, cede il passo: c’è chi si diverte a seminare il grano, c’è chi prova gioia a raccoglierlo. C’è anche chi è esperto nell’attesa, tra semina e raccolto. A casa nostra c’è un rappresentante per ogni stagione: la fortuna è essere tutti diversi, opposti.
Fra otto giorni, ancora una volta, mi scoprirò felice nell’usare la divisione: dopo aver diviso a metà la camera per accogliere un fratello, adesso, dividendo mio fratello, guadagno Laura, sua moglie. L’addizione è una sicurezza, la divisione è un rischio: la schiavitù è una sicurezza, la libertà un rischio. Non ho mai capito veramente chi sia veramente Laura: mi è stata presentata, nelle vesti di medico, in un giorno in cui la misura della febbre era 40.5°. In quanto a strategie, mio fratello non teme eguali. Guarito, non ho mai voluto sapere chi fosse realmente quella ragazza così timida e delicata, così semplice d’apparire imbarazzante, così umana da profumare di genuino: di lei ho solo informazioni-seconde che traggo dal volto di Sandro. La gioia che s’accende quando pensa a lei – quando parla di lei – è misura più-che-sufficiente per indovinarne l’identità. E gioire del guadagno ricevuto, anche stavolta superiore al merito.
Il giorno del suo matrimonio, fissandolo, so già cosa capiterà: noi due ci scopriremo ancor più fratelli. Come non mai. Dentro quella chiesa di collina che ci ha visti nascere, crescere, divertirci servendo Cristo e i fratelli. Lì dietro c’è ancora la vecchia scuola-materna: quella alla cui porta, nel maggio del 1983, ho gridato a tutti: “E’ nato mio fratello. Adesso siamo in due!” Era come dire: oggi finisce la schiavitù della mia solitudine, oggi inizia il rischio della mia libertà. Stessa chiesa d’allora, stessa piazza d’un tempo, stessi volti familiari: ci sono giorni, quelli delle partenze, nei quali tornare a casa è raccogliere il mantello del passato. Sentirsi più forti, meno soli, in compagnia.
«Chi è Sandro?». Nessun dubbio: è stato il mio prof di divisione.
Buon viaggio fratellino mio,
stavolta hai fatto uno scatto-secco. In salita.
Meno male che non ti pensavo sportivo…