Stadio San Siro. Milan – Carpi sarebbe iniziata di lì a un paio d’ore. L’apertura dei cancelli era stata appena effettuata e io, che da qualche tempo ormai presenzio alle partite casalinghe del Milan come steward per la sicurezza dello stadio, stavo svolgendo le ultime attività di controllo per la messa in sicurezza del secondo anello verde, il settore nel quale dovevo prestare servizio quella sera.
Mentre presidiavo la mia postazione, in attesa dei sostenitori milanisti, si presenta il primo tifoso della giornata: un signore sulla settantina, rigorosamente armato di sciarpa e cappello, ovviamente rossoneri.
Il compito di noi steward non è così complicato; oltre a curare che tutto si svolga in completa sicurezza, abbiamo un solo altro dovere nel corso delle manifestazioni sportive: accogliere il tifoso, l’ospite che viene ad assistere a uno spettacolo…Come? Nella maniera più semplice: con un sorriso e un “buonasera”.
Spesso, chi viene allo stadio non è in grado di trovare rapidamente il proprio posto, e così è dovere di uno steward indicarglielo se è in difficoltà; questo signore, però, sapeva esattamente dove dirigersi, e così mi sono limitato ad augurargli una buona serata con la maggior cortesia possibile, sorridendogli e mostrandomi disponibile per qualsiasi evenienza. L’affluenza maggiore dei tifosi avviene un’oretta o poco più prima dell’inizio della partita, e così, mancando oltre due ore al fischio dell’arbitro, ero ancora libero di muovermi nel mio settore; controllando che le balaustre di separazione col primo anello fossero in sicurezza, mi sono trovato ad essere vicino al signore prima citato, che per comodità chiamerò “Mario” dato che non conosco il suo vero nome.
Mario, vedendomi nelle sue vicinanze, ha attaccato bottone raccontandomi degli anni in cui seguiva ogni partita allo stadio del Lecce, squadra della sua città di origine, e di come stava vivendo la difficile stagione del Milan, da sempre sua squadra del cuore; avendogli rivelato che la mia fede calcistica è, a differenza sua, totalmente dedicata all’Inter, ne è nata una normale discussione calcistica sulla ridicola stagione delle due squadre milanesi. Dopo un breve scambio di battute sono dovuto tornare alla mia postazione perché iniziavano ad arrivare sempre più tifosi, e così, sempre sorridendo, ho salutato Mario lasciandolo da solo in attesa che le squadre scendessero in campo. Quell’uomo mi sembrava davvero felice di quelle quattro banali chiacchiere scambiate con me, ma in poco tempo ho dovuto mettere da parte i pensieri riguardanti l’anziano tifoso per dedicarmi al mio lavoro.
Al termine della partita, mentre il pubblico defluiva, mi si presenta davanti Mario che, quasi commosso, mi ringrazia, dicendomi che è stata una serata bellissima nonostante il Milan abbia miseramente pareggiato, perché quelle poche parole che ci siamo detti nel prepartita, e quel sorriso gentile che gli ho rivolto, hanno avuto un forte significato per lui che ormai è rimasto solo da anni, e che raramente scambia qualche parola con gli altri le poche volte che esce di casa.
Lì per lì non ho dato molto peso alle sue parole, l’ho semplicemente salutato di nuovo e ci siamo separati; più tardi però, tornando a casa in macchina, questo incontro mi ha dato modo di riflettere.
Ogni giorno incontriamo centinaia di persone, usciamo di casa e sono numerosissime le vite che incrociamo, di persone che probabilmente non vedremo mai più, oppure che incontriamo sul treno ogni giorno, ma con cui non abbiamo mai scambiato neanche una parola preferendo un buon libro o il cellulare; non sappiamo mai chi siano i nostri vicini di viaggio, cosa si nasconda dietro quello sguardo perso fuori dal finestrino, quale storia si celi dietro la persona che ci ha appena calpestato un piede per sbaglio, ed è per questo che, gesti di una semplicità disarmante come possono essere un sorriso o lasciare il proprio posto a sedere per un altro, dovrebbero essere del tutto naturali, perché magari aiutare una vecchietta a portare i sacchetti della spesa per qualche metro, o salire delle scale portando in braccio un passeggino troppo pesante per la madre del bambino, può avere un’efficacia positiva sugli altri che nemmeno immaginiamo.
Madre Teresa di Calcutta ha sempre sottolineato nella sua vita l’importanza del saper sorridere, o l’importanza anche solo di una parola gentile; lei ha sostenuto in ogni momento il fatto che anche un solo sorriso possa cambiare la giornata di qualcuno senza che noi ce ne rendiamo conto, perché non sapremo mai quanto bene può fare, e dunque, donare quotidianamente a uno sconosciuto uno dei nostri sorrisi potrebbe essere l’unico sole che vede durante quel giorno, e in quanto tale non possiamo permetterci di non donarglielo.
Un sorriso non costa nulla, ma ha un valore infinito anche per un estraneo. Arricchisce enormemente chi lo riceve, senza impoverire chi lo regala. E’ un qualcosa di fugace, che dura solo un istante, ma il suo ricordo può durare per sempre.
Donare un sorriso è facile. Ci vogliono settantadue muscoli per fare il broncio, ma solo dodici per sorridere. Proviamoci ogni giorno. Almeno per una volta. Fare del bene non è mai stato così semplice.