Riordinare.
Il verbo preferito dei miei fine settimana.
Riportare l’ordine dove fino a poco prima regnava un tranquillo stato di caos. Operazione necessaria, talvolta laboriosa, ogni tanto noiosa, ma spesso in grado di regalarmi delle gran soddisfazioni a lavoro ultimato.
Qualche giorno fa l’azione si è ripetuta, similmente alle altre precedenti, ma l’imprevisto ha deciso di sbucare da un luogo inatteso come le pagine ingiallite di un vecchio libro chiuso in un cassetto. Il titolo del volume non mi ha attirato quanto il segnalibro, posto accuratamente come limite di separazione tra un capitolo e l’altro.
Era un bigliettino bianco e semplice. Una data sulla sommità, poche parole al centro ed una firma posta poco sotto. Numeri e lettere in blu scuro, dall’andatura leggermente tremolante ed imprecisa, poche parole scelte con accuratezza per una ricorrenza importante, un augurio di felicità così dolce e spontaneo da farmi scoppiare il cuore. Ho tracciato in punta di dita ogni segno, quasi per poter toccare l’essenza del ricordo, perché solo questo di lei è rimasto. Una mano non più giovane ed un po’ tremula, solcata dalle rughe regalate dal tempo, una mano che ha saputo donare tanto amore e senza nessuna riserva. Se chiudo gli occhi posso rivederla, un gioco di memoria che sa travalicare il tempo e lo spazio per colmare l’assenza.
I gesti d’amore che riceviamo o che regaliamo al nostro prossimo raramente sono atti da supereroe, azioni grandiose e spettacolari. La maggior parte delle volte sono – o dovrebbero essere – piccoli atti di una semplicità talmente disarmante da avere il potere di diventare un sedimento che si deposita tranquillo sul fondo della memoria. Un po’ come le stalagmiti, che nel silenzio degli anni, goccia dopo goccia, crescono e divengono capolavori di una bellezza stupefacente.
Tante volte non ci badiamo, ma sono proprio quei piccoli gesti d’amore ricevuto che formano parte di quel che siamo, anche se magari non ce ne accorgiamo subito, ma dopo un certo tempo. Similmente ai sassolini lasciati dal piccolo Pollicino, possiamo provare a prestarvi maggior attenzione per poi magari un giorno decidere di volgere gli occhi indietro per abbracciare con lo sguardo la scia che nel corso degli anni è diventata un sentiero, il nostro sentiero. E chiederci come siamo arrivati fin lì.
Una manciata di caramelle dalla carta rosso rubino, lasciate scivolare di nascosto nella tasca della giacca ed accompagnate da un occhiolino, con la raccomandazione sussurrata all’orecchio “quando le mangi, pensa che ti voglio tanto bene” ed il mio dito di bimba sulle labbra, a suggello di un piccolo segreto tra nonna e nipote.
Un vasetto di gomme da masticare – tonde, colorate e con un simpatico faccino disegnato – corredato da un nastro annodato con cura e precisione e nascosto tra gli abiti di una valigia; venne trovato solo al termine del lungo viaggio, quando la strada di casa era ormai stata lasciata alle spalle e dinanzi si apriva il viale della vita indipendente. Parole non dette, forse per la troppa commozione di un allontanamento solo geografico ma mai emotivo, racchiuse in un oggetto che nella sua semplicità lascia ancora trasparire un inestimabile amore materno.
Ognuno di noi ha la propria lista, ognuno possiede quel sentiero di Pollicino.
Anzi no: ognuno dovrebbe possedere quel sentiero, ma non tutti hanno questa fortuna oppure non tutti lo ricordano.
Sta allora a chi ha già intrapreso la strada cercare nei meandri della memoria, goccia dopo goccia, sassolino dopo sassolino, per poter diventare anch’egli goccia o piccola pietra da donare agli altri.