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In occasione del Giubileo della Misericordia, una parrocchia di periferia ha deciso di passare insieme per la Porta Santa; non solo, approfittando di quello, fare un piccolo pellegrinaggio intracittadino, con cui riscoprire le bellezze, legate alla fede, che Milano può offrire.
Il percorso scelto prevedeva le seguenti tappe: S. Giacomo e Giovanni, S. Eustorgio con cappella Portinari (arca di S.Pietro Martire) di Foppa con annesso cimitero paleocristiano, San Lorenzo Maggiore ed infine, S.Ambrogio, dove sarebbe avvenuto il passaggio della Porta Santa Giubilare (a Milano ce ne sono altre, oltre alla principale, in Duomo).
La prima cosa che colpisce è vedere come un “foresto” (di Milano, che vive in provincia e che non è del nostro decanato) rimanere particolare impressionato proprio dall’opera artisticamente meno famosa e, forse, considerata dai più meno rilevante e da qualcuno persino un po’ strana, cioè la grande “Trasfigurazione” di Rupnik, contenuta all’interno della chiesa dei santi Giacomo e Giovanni. Complice la posizione decisamente periferica (a sud di Milano), il cortile cintato che la separa dalla strada principale e anche la sua storia (chiesa ricavata da un capannone industriale, successivamente adibito ad edificio di culto, nel quale, solo dal 2002 troneggia il capolavoro di Rupnik, artista chiamato su suggerimento dell’allora cardinale di Milano Martini), non è infatti in cima alle lista dei monumenti che il visitatore – tipo di Milano visiterà, come attesta la totale assenza di code per visionarlo. Naturalmente, non tutto il male viene per nuocere, perché, naturalmente, ciò dà l’opportunità, decisamente rara, di guardare e gustare con cura tale opera, privilegio consentito davvero di rado per la maggior parte delle opere italiane, proprio a causa del massiccio afflusso turistico, che, se, da un lato, è una manna per gli imprenditori del settore, dall’altro, rappresenta un evidente ostacolo ad una fruizione di qualità da parte di visitatori e cultori della materia.
La seconda cosa che mi ha colpito è ri-scoprire quante cose fossero “fuori le mura”, mentre ora sono considerate centro città. Certo, sono anni che lo so, e ogni volta che ci passo davanti, c’è una porta a ricordarmi i vecchi confini: Romana, Lodovica, Genova, Ticinese… Rispetto a quelli attuali sembra di parlare di epoche siderali e invece si tratta solo di qualche centinaio d’anni fa. Ma, anche solo in una decina d’anni, sono cambiate molte altre cose, nella geografia cittadina: il popolamento di nuove famiglie venute da lontano, ha punteggiato tanti quartieri di negozi ormai “tipicamente” stranieri (macellerie, centri telefonici, venditori di kebab…).

La basilica di S. Eustorgio, famosa perché sede delle reliquie dei Magi, ospita anche l’arca con S. Pietro Martire di Giovanni Balducci (artista trecentesco della scuola di Giovanni Pisano), e decorazioni realizzate dall’artista bresciano quattrocentesco Vincenzo Foppa (che, per gli addetti ai lavori, non è affatto uno sconosciuto, pur non avendo la fama degli artisti rinascimentali). Ma il sito senz’altro più in ombra, nel senso letterale del termine, è il museo paleocristiano visitabile nelle fondamenta della Basilica: un modo per riflettere sulle origini della cristianità, a partire da un dettaglio quanto mai trascurato cioè l’origine della Croce quale simbolo cristiano (non lo fu sempre, anzi, agli inizi, spadroneggiavano altri, di derivazione greca, come il pesce, il Chrismon o l’Alfa e l’Omega).
Di San Lorenzo Maggiore, a stupire è il contrasto. che, a sentire la storia, c’è sempre stato. Fuori, alcuni ragazzi coi capelli colorati prendono in giro alcuni ragazzi evangelici, impegnati in un pomeriggio di evangelizzazione. All’interno, la cappella di S. Aquilino, martire tedesco, ucciso da una coltellata a Milano, nel 1015, a causa del suo impegno contro le eresie del tempo. Fuori le colonne, di epoca precedente alla costruzione della Basilica. All’interno, opere d’arte stratificatesi nel tempo, in una chiesa dall’insolita forma ottagonale (di solito prediletta se non esclusiva per i battisteri). all’esterno, il viavai di giovani e famiglie di qualsiasi sabato pomeriggio di un aprile dal tempo tipicamente primaverile (mite, ma variabile).
Infine, siamo arrivati alla meta. Basilica di sant’Ambrogio. Da cui non solo l’intera diocesi (una delle più grandi al mondo), ma anche il rito (ambrosiano) prende il nome. Forse, le nostre conoscenze a suo riguardo sono molto scarne, ma questo Ambrogio doveva essere proprio un bel tempo, se dopo più di 1500 anni, la sua impronta ha segnato la storia, non solo della fede, ma della nostra città in modo tanto profondo. Del resto, pare, tra le altre cose, che si deve alla sua arte oratoria la conversione di un grande filosofo, Agostino di Tagaste, che fu in seguito, a lungo, vescovo d’Ippona, in tempi non troppo rosei, per i cristiani.
Del resto, anche oggi, i tempi non sono troppo rosei, per i cristiani; soprattutto se ci si trova in Siria, Pakistan, Egitto, Cina, Nigeria, Kenya,Somalia. Capisco la tendenza a dimenticarselo, per non toglierci dalla nostra comodità, ma la storia del Vangelo è lastricata dal sangue dei martiri. E ricordarcelo, a volte, che la fede non ci fa fare percorsi comodi e agevoli, non ci farà mai male; anzi, forse, ci aiuterà a risvegliarci dal quel torpore in cui noi cristiani, soprattutto occidentali, illusi che la fede possa essere un intimistico rituale di “benessere”, siamo piombati, da un po’ di tempo a questa parte.

Le note a margine, conclusa questa piccola ma significativa esperienza, sono diverse.
Innanzitutto, è curioso notare come alle volte le cose belle siano davvero a portata di mano, spesso a costo zero e l’unica fatica da fare è quella di vincere la pigrizia e “mettersi in cammino”. Milano è famosa per il Duomo, per la Scala e tutti i turisti affollano Galleria Vittorio Emanuele e la piazza principale; i più originali arrivano ad aggiungere il Castello Sforzesco, il Museo della Scienza e della Tecnica o il Cimitero Monumentale. Oltre, difficile si vada. Perché Milano è commercio, lavoro, finanza: quindi, al massimo, si punterà ad una visita a Piazza Affari. In realtà, Milano può offrire più di quanto si pensi, a chi non si accontenta di un percorso “tradizionale” e rinomato, ma ha il coraggio di cercare quegli “angolini” che sono presenti in tutte le città italiane: spesso, sono i meno valorizzati, ma, non di rado, sono quelli capaci di lasciare maggior gusto nei visitatori.
Sicuramente i puristi storceranno il naso, perché un pellegrinaggio con bimbi e carrozzine significa che passerai del tempo a ridacchiare sommessamente per le loro facce buffe ed i comportamenti inadeguati perché, anche se sai di doverli rimproverare la prima reazione sarà, inevitabilmente, una risata perché sono, “oggettivamente” buffi e divertenti. Del resto, però, forse proprio questo è un aspetto positivo: sono loro che ci fanno riconciliare con il “lato Asperger” sepolto in ognuno di noi: che ci fa intraprendere comportamenti inadeguati rispetto alla situazione, ma anche quello che, ogni tanto, necessita di venire allo scoperto, per evitare che ci prendiamo troppo sul serio, diventando perfetti uomini e donne di maniera, ma senza la capacità di provare emozioni semplici e genuine.
A pochi giorni dal 21° anniversario della morte di Iqbal Masih, come non ricordare tutti quei bambini che questa spensieratezza non possono averla. Pensiamo a bambini lontani, poveri, abbandonati. Ma pensiamo anche ai nostri: perché, alle volte, siamo noi i peggiori nemici dei nostri bambini. Noi che pretendiamo di sapere tutto su di loro, mentre, magari, ascoltandoli, non solo scopriamo qualcosa di nuovo su di loro, ma anche su noi stessi. I fanciulli sanno guardare al mondo in modo diverso, ricordandoci che la spensieratezza è possibile, nonostante facciamo di tutto per toglierla dai nostri piani e cercando di accorciare in ogni modo il suo tempo anche a loro, con la scusa della ‘responsabilità’.
I bambini sono il nostro futuro. Sembra una frase fatta ed un po’ vuota, ma nasce nude una grande verità. Non sono il nostro futuro solo perché vengono dopo di noi; lo sono, piuttosto, perché sono in grado di salvarci dal vivere rivolti al passato e raggomitolati su noi stessi e i nostri problemi. Il loro egoismo (infantile) ci aiuta a ridimensionare il nostro egoismo d’adulti.
Innalzare lo sguardo, a volte, fa rima con la disponibilità ad essere piccoli: farsi piccoli, ricordando la propria storia personale e collettiva, che bussa alla porta non solo come memorandum del passato ma anche come porta spalancata sul futuro.

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